Lago di Garda storia e origini
Per la sua posizione, la sua conformazione, la sua terra feconda e la sua bellezza, il lago di Garda è sempre stato frequentato da popoli che qui si sono scontrati in tremende guerre di conquista. Si cerca di riassumere, per quanto possibile e dovendo in alcuni punti allargare il racconto alle vicende italiane, la sua storia in modo cronologico fin dalle origini per poter meglio comprendere lo sviluppo degli insediamenti, dei borghi fortificati, degli edifici religiosi e militari di importanza storica che formano la base culturale della nostra zona. Fonte ricca di informazioni ragionate e commentate sulla storia del nostro Benàco sono i tre volumi dell. Avv. Marco Gerosa “Il Benàco, nei ricordi e nelle sovrane bellezze” dal quale sono stati tratti vari brani e dei quali, per chi ama questa zona, si consiglia la lettura.
Lago di Garda storia e origini
SI FORMA IL BACINO DEL BENACO
In un dato periodo il Benaco fu letto marino, successivamente il fondo emerge e i ghiacciai diedero origine alle principali morene del Lago di Garda, alla apertura del lago d’Idro, alla fratturazione della diga da S. Vigilio a Sirmione. e di conseguenza il piccolo bacino della Valsabbia ricevette le acque del Caffaro e delle Giudicarie, trasformandosi nel Chiese attuale: le grandi morene benacensi respinsero sui banchi i due fiumi laterali, Chiese ed Adige, escludendoli dal Bacino, ed il Benaco venne ad estendersi ad oriente, aggiungendo al suo stretto avvallamento originario l’ampio golfo da Garda a Peschiera.
PRIMI ABITANTI: LIGURI, VENETI, INSUBRI, ETRUSCHI, GALLI CENOMANI
E’ appurato che il territorio bresciano fu sede di popolazioni umane fin dai tempi più remoti, non solo storici, ma anche preistorici; anzi sembra che l’uomo esistesse su questo suolo fin dall’epoca terziaria della terra, quando la pianura era coperta dal mare pliocenico. Inoltre nella parte meridionale del lago di Garda vi sono tracce di palafitte, abitazioni lacustri di popolazioni delle remote epoche preistoriche
I Liguri, della stirpe Iberica, sono i più antichi popoli della provincia di Brescia e del Benàco.
Nella parte montuosa, vi erano gli Euganei o Veneti, ivi trasferitisi dalle sponde dell’Adriatico, e avevano per capitale Stono, l’attuale Vestone.
Pare che i Veneti abitassero la parte orientale, i liguri quella occidentale del Benàco, ma insieme, o poco tempo dopo, giunsero gli Umbri, una suddivisione dei quali, denominata degli Insubri, si stabiliva fra il Po (Padus), le Alpi, il Ticino e l’Adda. Dagli Insubri trassero origine i Sabini, che si distinguevano per severità di costumi e pietà religiosa, e di cui una parte andò ad abitare la Valle Sabbia in mezzo ai Triumplini, prestando culto a Saturno. Queste genti svolgevano la loro attività dapprima in antagonismo le une verso le altre, ma in seguito convissero, con gli scambi commerciali della pastorizia, della pesca e dell’agricoltura fra i monti, i poggi, il lago e la pianura cosparsi di palafitte e di rozze abitazioni, specie sulle rive del Benàco e del Mella.
Nel VII secolo avanti Cristo ecco apparire gli Etruschi, un potente popolo navigatore, che molto aveva assimilato dei Fenici, ed operare la conquista dell’Insubria, sul Po, respingendo gli Umbri verso il centro d’Italia, e stanziandosi anche sulle rive del Benàco; qui vi stettero fino al V secolo avanti Cristo in quanto, come accenna Tito Livio, furono poi vinti e scacciati dai Cenomani.
Più che le vie di terraferma offrivano grandi possibilità in quei tempi le vie d’acqua, e specialmente i laghi; un canale congiungente il lago e il Mincio, l’Adige e il Po, del quale si ritiene certa l’esistenza quantunque non ne rimanga traccia, doveva mettere il lago, per mezzo di questi fiumi resi navigabili dagli Etruschi, in diretta comunicazione con l’Adriatico. A tale proposito ricordiamo che Hadria che oggi dista 30 Km. dal mare, era città di mare, e sembra abbia dato il nome all’Adriatico e più tardi divenne potente colonia romana.
Nell’anno 567 avanti Cristo, gli etruschi furono vinti, dopo ardua e lunga lotta cruenta, dai Galli Cenomani di razza cimbrica (dalla famiglia degli Aulerci, tribù stanziata nel N-O della Francia). Da quelle genti si staccò un forte nucleo che irruppe nel territorio Benacense al comando di Elitovio, che per l’orrore della strage e la rapidità fulminea dell’azione era nomato il turbine.
Esso attraversò l’Insubria e fermò la sua sede nel territorio, dove ora sorgono Brescia, Cremona, Mantova e Verona. Alla cittadella ligure che preesisteva sul colle Cydneo i cenomani aggiunsero la sottostante.
Ai Cenomani rimase la parte occidentale del lago, ai Veneti la sponda orientale. La tecnica ed il lusso degli Etruschi vennero assimilati rapidamente da questi Galli, sicché il periodo di decadimento del territorio benacense ebbe breve durata. L’alta Italia era allora priva di strade, e da via principale serviva lo stesso corso del fiume Padus (Po) che da Torino incominciava ad essere navigabile. I Cenomani prescelsero Brescia a sede principale e a mezzo di via fluviale i commercianti Cenomani raggiungevano pure le sponde dell’Adriatico, e tale arteria continuò ad essere usata fino al tardo impero romano.
I ROMANI
Più tardi, nella immane lotta impegnatasi fra i romani e i celti (279 anni a. C.) i Cenomani del Benàco, al contrario degli altri Galli, seguirono le parti di Roma, e insieme ai Veneti la soccorsero.
Nel 223 a.C. il condottiero C. Flaminio sconfisse i Galli al Clesis (Chiese) e si impadronì di parte del territorio che da esso (distante meno di 30 Km. dal Mincio) giungeva sino ai colli sopra Verona ove abitavano gli Euganei ai quali concesse la latinità.
Tito Livio e Polibio ricordano che la colonia di Brixia ebbe parte, insieme ai Romani nella seconda guerra punica, serbandosi ad essi fedele, e pugnò valorosamente contro Annibale nella battaglia della Trebbia.
Con il II sec. a.C. la romana repubblica riusciva ad occupare la regione dei Veneti, (comprendente il Benàco) fino al Quarnàro, e congiungeva al resto della penisola la Gallia Cisalpina ridotta a provincia.
Conquistato il piano ascesero le legioni costeggiando il Clusium (Chiese) e le montagne circostanti, dove i primitivi abitatori Liguri e Umbri si erano rifugiati alla venuta dei Cenomani. Colà nell’anno 128 a. Cristo il proconsole Quinto Marzio riportava vittoria sui Liguri-Stoni, impadronendosi di Stonos, o (come interpreta il Rossi sostenuto dal Maffei) Vetus-Stonum, l’attuale Vestone.
Brixia, dichiarata dipendente dal popolo romano, venne aggregata alla Gallia Transpadana col territorio del Benàco e conseguì poi, per favore del Magno Gneo Pompeo Strabone, nel 555 di Roma, il privilegio di Colonia latina.
Ogni regione, che fosse esaltata al grado di Colonia Romana, veniva ascritta ad una delle 36 tribù nelle quali era diviso il popolo Romano, e pertanto, come la città di Trento si denominava dalla Tribù Papiria e quella di Verona dalla Tribù Pubblicia, così Brixia venne ascritta alla Tribù Fabia.
E’ noto poi che la Gallia Cisalpina fu scissa dai Romani in Cispadana (al di qua dal Po) e in Transpadana, di là dal Padus, della quale faceva parte il lago di Garda. Con la morte di Cesare nel 44 a.C. inizia la guerra civile e molti repubblicani romani, scacciati da Marco Antonio vincitore della battaglia di Filippi nel 42 a.C. , si rifugiarono sul Benaco. Nel 25 a.C. Ottaviano Augusto (25 a.C-14 d.C.) , vince Marco Antonio e diventa imperatore, distribuisce quindi le terre del Benaco tra le sue legioni, è questo il periodo in cui Publio Virgilio Marone viene privato delle sue terre nel mantovano. Con Augusto La Gallia cisalpina venne unita all’Italia portandone i confini alle Alpi, e per soccorrere alla distanza dei luoghi, Augusto prolungò l’unica via, la via Emilia (o Gallica) , che costeggiava la Riviera Benacense, fino alla Gallia Transpadana, aperse strade nelle valli e nella pianura e vi istituì servizi postali favorendovi i commerci. Ovunque, e anche nella riviera benacense, si stanziarono opulenti quiriti che costruirono ville sontuose in molti luoghi, come a Lonato, a Desenzano, a Sirmione, in Valtenesi, Salò, Toscolano, Riva. Le popolazioni benacensi, afflitte dalle scorrerie continue dei Venenoni, e depredate crudelmente, invocarono aiuto da Roma, e Augusto inviò in soccorso di quelle e degli altri popoli oppressi, traendone pretesto per ulteriori conquiste, un esercito comandato dai suoi figliastri Druso e Tiberio nel 15 a.C. E’ questa la prima volta, scrive Scipione Maffei, che flotta militare si vide nelle onde del nostro lago.
Durante l’impero di Augusto prende piede sul Benàco una famiglia romana che sarà di grande importanza per la Riviera, quella dei Nonii Arrii, proprietari di immense terre nella nostra zona e in tutta Italia; è nel 38 d.C. che viene costruita la loro villa di Toscolano.
Durante il regno di Tiberio, inizia a diffondersi il cristianesimo sul Garda, S.Anatolio a Milano, S.Marco ad Aquileja
Nel 72 d.C. Vespasiano costruisce il Capitolium a Brescia – Si ritiene che l’imperatore abbia offerto agli Dei maggiori il tempio per ringraziarli di aver assicurato il suo regno con la vittoria riportata contro il rivale Vitellio sui campi di Bedriaco, località fra Mantova e Cremona allora compresa nell’agro bresciano. Egli ne fece poi dono ai Bresciani per aver essi combattuto in quella battaglia decisiva a fianco delle sue Legioni d’Oriente.
Il periodo più luminoso della storia di Roma imperiale, nei quali rifulsero anche le gesta di Brixia e della Riperiae Benacensis, fu quello di Publio Elio Adriano (117 – 138 d.C.) principe sapiente; obiettivo della sua politica era il mantenimento della pace armata, per cui ad ogni minaccia straniera la spada di Roma brillava affilata e possente sulla salda difesa dei confini muniti di castelli e mura formidabili, che sorgono particolarmente quassù, verso le provincie gallo-germaniche. Nel 119 d.C., dopo due anni dall’assunzione all’impero, inizia le peregrinazioni attraverso le provincie, e per circa 17 anni di regno su ventuno le visita tutte ad una ad una; Brixia, e il suo agro fino all’Adda, facevan parte della provincia consolare « Venezia-Istria », ed avevano per metropoli Aquileia.
EVENTI E PRESENZE MILITARI SUL GARDA TRA LA SECONDA METÀ DEL III E IV SECOLO
Nel 264 d.C. gli Alamanni penetrarono nella pianura padana finché l’imperatore Claudio II li sconfisse nella selva di Lugana a sud di Sirmione. Una nuova incursione alamanna avvenne lungo la Valle dell’Adige nel 286-287. A questi eventi militari, o ad altri di poco posteriori, rimanderebbe la presenza di due viri datissimi a Toscolano (M. Aurdius Dubitatus e figlio), del pretoriano Iulius Festus a Bedizzole, del cavaliere (equis singularis) ritratto nella stele di Barbarono di Salò, il ché conferma l’ipotesi della costituzione sul Garda di una flottiglia militare. Anche la distruzione per incendio della villa Grotte di Catullo a Sirmione, alla fine del III secolo, è stata collegata alle incursioni alamanne che interessarono il basso lago, così come il rinforzo delle difese di Verona (nel 265). Nel IV secolo, una presenza di militari attorno al lago è stata suggerita anche dalle sepolture inserite nelle Grotte di Catullo, con elementi di cintura tipicamente militari.
I GOTI E GLI ALAMANNI
Nel 250 d.C. l’imperatore Decio, che era accorso alla difesa delle province minacciate dai Goti, avventuratosi in terreno paludoso l’esercito suo fu distrutto e l’imperatore poscia ucciso a tradimento così nel 268 d.C. Alamanni e Goti, fatti audaci dalla vittoria contro Decio, forzate le Alpi Retiche, eran calati in Italia distendendosi intorno ad Arilica (Peschiera), baluardo fortissimo, e sul territorio benacense, fra i boschi e il piano e, penetrati nella selva Latina o Lucana miravano a Brixia, rovesciandosi su Decentianum dove sparsero la rovina e la morte. Venne allora in soccorso l’imperatore Cesare Marco Aurelio Claudio II, che fece memorando eccidio delle barbariche orde; i Benacensi grati resero omaggio di lapidi e di statue, rinvenute per tutta la Riperia Benacensis, con l’appellativo di Gotico, Pio, Felice, Invitto, Augusto. La strage fu tremenda e, come attesta Eutropio, piu di 200 mila Goti caddero nella selva e nelle terre che incorniciano il lago, così che tutto intorno rosseggiò del sangue sparso, e le ossa ingombrarono per lungo tempo il cammino.
In questo periodo la riviera e le valli erano latifondi lavorati da schiavi; non esisteva giuridicamente un popolo, ma dominavano i patrizi, i compagni dei duci che avevano sottomesso i Germani dividendone le spoglie.
330 d.C. – L’impero viene diviso in quattro parti, con a capo i “Tetrarchi”. L’antica città romana di Bisanzio viene rinominata in Costantinopoli e diventa capitale dell’Impero Romano d’Oriente. L’imperatore Costantino è in contrasto con Roma, ancora pagana.
OSTROGOTI
Nel 375 d.C. la guerra tra Ostrogoti e Unni nel territorio dell’attuale Russia meridionale e Mar Nero spinge gli Ostrogoti alla migrazione. E’ l’inizio delle ondate di invasione di barbari, spinti verso l’Italia da altre tribù provenienti dall’Asia centrale e dalla Mongolia ed attratti dalla ricchezza e dalla fertilità del suolo colonizzato dai romani, il cui impero denota pesanti segni di sfaldamento e decadimento; nel 404 d.C. la nuova capitale dell’impero romano d’Occidente è Ravenna.
II SISTEMA DI DIFESE DEL GARDA E DELLE VALLATE LIMITROFE TRA V E VII SECOLO
Solo dal V secolo le fortificazioni della regione gardesana cominciano ad assumere le caratteristiche di un sistema organico di difese, nel quadro di più ampie strategie che comprendevano i castelli della Val d’Adige e delle valli adiacenti. Le difese vennero poi completate nel corso del VI secolo, ad opera del governo goto e forse anche in seguito di quello bizantino. I castelli di V-VI secolo non sono stati costruiti dalle popolazioni, bensì sono stati costruiti da maestranze specializzate su volontà dello Stato.
Dal 540 fino alle spedizioni bizantine della seconda metà del VI secolo, i territori gardesano e atesino sono al centro delle strategie militari di Franchi, Bizantini, di gruppi superstiti di Goti e dal 569 dei Longobardi. Nel 569 la città viene infine conquistata da Alboino, che la sceglie come propria capitale, evidentemente per la sua posizione centrale rispetto ai conflitti in corso. In questo quadro storico dominato dalla guerra, non sorprende che in quei decenni i castelli del Garda e della Val d’Adige presentino molte tracce archeologiche di occupazione.
Il castello di Sirmione è stato occupato dai Longobardi nel 569, subito dopo Verona. Poi, nella tarda età longobarda, Sirmione viene ricordato come castrum con un ampio territorio dipendente che comprende entrambi i settori nord (con il bacino di Riva e Arco) e sud del lago di Garda (da Salò a Peschiera e nell’entroterra fino a oltre Goito).
L’Anonimo Ravennate, alla fine del VII secolo, ricorda Garda al pari di Sirmione, come civitates e dunque come sede di un’autorità amministrativa. Garda e Sirmione sono senza dubbio i castelli più importanti del territorio gardesano e tuttavia il loro significato strategico è compiutamente comprensibile solo in relazione ad un sistema più articolato, che aveva lo scopo di difendere gli assi di comunicazione della Val d’Adige e del Garda, a partire dalle tre città, Mantova, Verona e Trento, che acquisirono grande rilievo in epoca tardoantica.
A Verona già nel 265 ci furono interventi di ripristino sulle mura del I a.C. e la costruzione di un collegamento con l’anfiteatro lungo 550 m.; successivamente, non prima del tardo V secolo, vengono rinforzate le torri esistenti ed infine viene costruita una seconda cinta di mura (attribuibili al re goto Teodorico), formando in tal modo un castrum urbano.
A Mantova in epoca tardoantica non precisabile viene rinforzata la cinta con l’aggiunta di una nuove mura. In questa città, il muro più antico rimanda agli inizi del IV secolo. La seconda cinta, addossata alla prima, è evidentemente posteriore, ma è al momento priva di riscontri cronologici.
A Trento, sempre in epoca tardoantica, viene aggiunto un nuovo muro alla cinta muraria, in sinistra Adige, viene costruito un muro ai piedi del Doss Trento che può ricondurre al desiderio di creare un ulteriore ridotto militare separato dalla città.
Tra V e VI secolo, sono state attuate iniziative di rinforzo delle mura in tutti e tre i centri, disposti lungo l’asse nord-sud del sistema viario atesino-gardesano, che venne protetto con una serie di castelli organicamente collegati tra loro, il ché conferma l’importanza strategica delle tre città.
VISIGOTI
Nel 408 il re dei Visigoti Alarico e le sue orde si rovesciarono con la violenza dell’uragano sulle terre del Benàco; i patrizi romani, recando seco le famiglie, gli schiavi, i liberti, in preda allo spavento abbandonarono case e campi che in breve furono sommersi dalla immane ondata, e anche la sponda occidentale del lago, ascritta con Brescia alla tribù Fabia di Roma, si accasciò sotto l’invasione sterminatrice.
UNNI
E’ la primavera del 452 d.C., Attila con il suo esercito di Unni distrugge Aquileja, costruita nel 181 a.C. dai romani (migrazione della popolazione sugli isolotti e fondazione di Venezia) e invade tutta la regione tra l’Adda, l’Adige ed il Mincio, incluso il Benàco; dopo aver annientata Brescia, posta a ferro ed a fuoco, pianta il suo accampamento nella Selva Lugana, sulla sponda meridionale del lago. L’imperatore Valentiniano decide di mandare papa Leone a trattare con l’Unno, il papa muove infervorato nella santa missione, precedendo il clero salmodiante, e incontra Attila presso Peschiera (l’Arilica romana), forse presso Salionze; dopo breve tempo Attila desiste in cambio di un compenso e si ritira con i suoi unni, muore nel giro di poco tempo.
Flavio Oreste, un comandante Germano al seguito di Attila, tenta nel 476 d.C. di gestire le truppe barbariche, marcia su Ravenna, depone l’imperatore Giulio Nepote e insedia il figlio Romolo Augusto (avuto dalla moglie di origine romana). Tuttavia, dopo tempo, gli eserciti barbari, non soddisfatti delle promesse nelle terre italiche, insediano Odoacre quale magister militum che uccide Oreste e detronizza Romolo ‘Augustolo’. Viene costituito il regno italico e le insegne imperiali di Ravenna passano a Costantinopoli. Romolo per l’età non poteva governare e per lui lo fece Oreste, preoccupandosi anzitutto di gestire le truppe barbariche che restavano fedeli solo per i pingui pagamenti che dissanguavano le casse dello stato.
489 d.C, – Teodorico, re degli Ostrogoti dal 474, varca le Alpi e, dopo vari scontri con l’esercito di Odoacre, lo uccide a tradimento durante un banchetto organizzato per stipulare la pace (altre fonti dicono che fosse stato giustiziato in seguito ad un sommario processo), diventando il secondo re barbaro di Roma.
Nell’ aprile del 568 il longobardo Alboino invade l’Italia – passando per le Alpi Giulie che, mal difese, furono avvolte e superate rapidamente dal barbaro uragano. In breve conquistava Vicenza e Verona; poi Mantova e si accampò anche nella nostra provincia, lasciando il suo nome a Pralboino (Prato Alboino). Da Trento a Ravenna e a Roma tutto divenne preda di quelle orde fameliche esclusa Pavia che per fame si arrese dopo tre anni. Alboino la onorò facendola capitale del Regno.
Dopo tante carneficine, i Duchi longobardi incominciarono a combattersi fra loro e si elessero alla fine, nel 584, Autari Re, il quale sposò Teodolinda di Baviera, pia e pietosissima donna causa innocente di fierissima guerra. Anche sua figlia Gondeberga, rimasta vedova del primo marito nel 643 d.C., il duca di Torino Arioaldo ebbe invito dai Longobardi, come un tempo la madre sua, di eleggersi uno sposo e re; il prescelto fu Rotari, duca di Brescia. Vediamo in lui il primo legislatore del suo popolo; infatti egli promulga in Pavia un editto diretto a raccogliere le prescrizioni dei padri non ancora scritte, l’editto di Rotari del 643 d.C.
Nel periodo che corre dalla morte di Rotari nel 652 d.C. all’elezione di re Liutprando (712 d.C.) è un lampeggiare continuo di armi, un agitarsi di fazioni, un rapido succedersi di re. E’ certo ormai che Desiderio e Ansa, l’ultima infelice coppia di re longobardi, prima di avere la corona regale nel 756 d.C., appartenevano ambedue a nobilissime e ricchissime famiglie longobarde stabilitesi a Brescia e nel territorio bresciano. Paolo Diacono lo dice originario della Riviera, e precisamente di Padenghe. A loro si deve la fondazione del San Salvatore di Brescia (ora S. Giulia) ed il S. Salvatore di Sirmione.
FINE DEI LONGOBARDI, I CAROLINGI
Nel 773 d.C. – Carlo Magno dal Cenisio cala in Italia con un forte esercito e alle Chiuse, in val di Susa, presso S. Michele, servendosi del tradimento di un tal Martino, diacono di Ravenna, piomba alle spalle dei Longobardi e li disperde costringendo Desiderio e Adelchi (suo figlio) a rifugiarsi in Pavia e in Verona. E’ noto che l’ultimo re dei Longobardi chiuse poi l’esistenza in Francia con opere di pietà. Bastarono tre vite, quella di Lodovico il Pio, di Carlo il Calvo e di Luigi il Balbo ad abbattere la monarchia dei Carolingi.
Durante l’anno 776 la peste in pochi giorni rapiva a Brescia 4.000 persone spargendo il terrore e la morte anche fra i benacensi. Poi un vasto incendio distrusse, nel susseguente febbraio parte della città dal Paravert al Carnario, facendo molte vittime.
ANARCHIA DEI FEUDATARI L’ “ITALIA UNITA” DI BERENGARIO
Siamo nel 888 d.C. e Berengario I re – duca del Friuli e di Verona, dopo aver annientato Guido da Spoleto, il più forte dei suoi rivali, fu eletto a Pavia, dai grandi feudatari, re d’Italia. Per riposarsi dalle cure dello Stato aveva posto residenza sui margini del lago, nella saluberrima Garda, erigendo quella città murata e protetta da un forte castello a capoluogo della Giudicaria Gardese. Nell’agosto dell’899 dalle Alpi Giulie i Magiari o Ungheri calarono nel Friuli senza trovare resistenza, traversarono la Venezia e si precipitarono in Lombardia portando in ogni luogo la desolazione e il terrore, vennero respinti ma in quel frangente sorsero ovunque sulla terra benacense fortilizi e castella destinati a rifugio delle popolazioni. Allontanatasi la minaccia dei barbari Berengario fu a Roma nel 915 per ricevervi la corona imperiale. Muore ucciso il 7 aprile del 924 a Verona. Fu uno dei protagonisti del periodo dell’Anarchia feudale, quando i più importanti feudatari della penisola lottarono per avere il controllo dei territori del carolingio Regno d’Italia; con lui si era quasi raggiunta l’unità d’Italia.
LA REGINA ADELAIDE NELLA FORTEZZA DI GARDA
Nel 945 era marchese d’Ivrea Berengario, nipote del precedente, che venne poi eletto re (950-961); sospettando che Lotario di Provenza, sposo di Adelaide, figliuola del defunto Rodolfo di Borgogna, ricorresse alla protezione dell’imperatore Ottone I di Germania, lo fece uccidere e pretese di unire in sposa Adelaide al figliuol suo Adalberto. Al suo rifiuto venne imprigionata nella fortezza di Garda. In suo soccorso verrà Ottone I e le sorti del Castello di Garda sono ormai legate a quelle del decaduto re. In tre diversi castelli, fra i quali Garda, l’imperatore Ottone assediò Berengario II, la moglie e il figlio Adalberto. Fu questa l’ultima terra sulla quale sventolasse ancora il vessillo dei re d’Italia, e venne smantellata dallo stesso Ottone.
Nel Natale del 951 l’imperatore Ottone I colse in moglie la vedova regina Adelaide a Canossa non per mero sentimentalismo, ma perchè acquistò i diritti che essa aveva sulla corona d’Italia.
SI AVVICINA L’ANNO 1000
In quell’epoca il Cristianesimo aveva trionfato sulle rive del Benaco, dove già pullulavano i santuari e i monasteri, eretti dalle popolazioni per guadagnarsi il Paradiso, allorché eran prese da gran terrore per la credenza che dovesse avvenire quell’anno la fine del mondo. Tutti cercavano di acquistarsi la salvezza dell’anima con ogni maniera di atti religiosi. Così la fede cristiana e le sue manifestazioni erano protette da principi, regalate da ricchi, invocate dalle plebi come conforto nel temuto trapasso verso la eternità. Ed ogni Pieve, ogni Monastero, ogni Cappella fruiva di rendite, di privilegi, dei diritti di pesca, di caccia, di raccolto. Nessuno s’occupava più di nulla, come se non fosse più di questa terra, e per guadagnarsi il Paradiso i ricchi lasciavano tutto quel che avevano alle chiese ed ai monasteri, che acquistarono così grandi proprietà. A turbe si fanno monaci; ai santuari è un viavai; con processioni e penitenze senza fine (totua inundus stultizat). Ma passato il mille e cessata la paura, ricominciarono le inimicizie e le guerre private che insanguinavano, senza cessar mai un momento, tutte le città italiane. Per calmare gli spiriti esaltati fu detto da alcuni aver rivelato il Signore che in certi giorni della settimana queste guerre dovevano cessare: e allora fu stabilito che dalla prima ora del giovedì fino alla prima ora del lunedì ogni rappresaglia avesse tregua, e potesse ognuno senza pericolo attendere ai propri affari.
Questa si disse tregua di Dio, e la Chiesa minacciò pene spirituali a chi osasse violarla, aggiungendo che dovessero godere di tregua perpetua gli ecclesiastici, i pellegrini, i contadini, gli animali da lavoro ed i semi portati al campo. Intanto per detti giorni il popolo respirava.
1004 d.C. – Il Malvezzi ci descrive lo spaventevole terremoto del 1004 dal quale la città e provincia di Brescia furono tutte sconquassate; e prima ci narra della carestia e della mortalità che resero deserto il territorio bresciano « fames valida, grandisque mortalitas »; indi parla di altro terremoto che afflisse sopratutto l’alta Riviera Benacense incutendo il terrore per cui sembrava minassero e templi e monti
FINE DEL FEUDALESIMO, IL BARBAROSSA E LA NASCITA DEI COMUNI
Durante il secolo XI ha fine il feudalismo e inizia il periodo dei Comuni, sorge la lotta per le investiture, dalla quale deriva lo sfasciarsi del potere vescovile nelle città da una parte e il fiorire della borghesia dall’altra.
Il 4 marzo del 1152 Federico Hohenstaufen (Federico Barbarossa), giovane di 31 anni, ardito nell’operare, bramoso di gloria, forte nell’armi, venne eletto dalla Dieta di Francoforte re di Germania, che ormai in sostanza significava anche re d’Italia e imperatore, suo primo pensiero fu di passare le Alpi e restaurare in Italia l’autorità imperiale, quasi del tutto scomparsa per l’istituzione dei liberi Comuni. Con poderoso esercito, il maggiore d’ogni altro tedesco che avesse invaso la nostra terra, nell’ottobre del 1154 scese dalla valle di Trento ed ai primi del mese, raggiunto il veronese, accampò presso il Benàco. Il 18 giugno 1155 riceveva da Adriano IV la corona imperiale e risaliva quindi la penisola per tornare in Germania, ma avvenne che alle Chiuse del veronese l’imperatore dovette superare un’imboscata tesagli dai suoi nemici.
Nel 1156 il libero Comune di Brescia stringe lega con Milano e Piacenza e manda 200 cavalli e parecchi fanti ai Milanesi in guerra con Pavia, città imperiale per eccellenza.
Brescia, per la giurisdizione di alcuni castelli, combatte nello stesso anno, alla battaglia di Paiosco contro i Bergamaschi, l’esercito dei quali, tra morti e prigionieri, venne interamente disfatto.
Brescia intanto, eretta a libero Comune, guardava con indignazione a certe castella vendutesi all’invasore [demo demo9]
Quando il Barbarossa discese in Italia per la seconda volta nel 1158, allo scopo di espugnare Brescia ed avanzare contro Milano, incontrò ostinata resistenza a Garda, la possente rocca dove s’infransero reiterati assalti del suo esercito dal 1158 al 1162, ne deduciamo che da questo memorabile baluardo dovette togliere il nome Ottone di Frisinga per darlo al lago.
I deputati di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova, e i dispersi milanesi, convennero nell’aprile del 1167 al monastero di Pontida ove giurarono di stringersi in alleanza, e in segno fraterno decisero di riedificare Milano che il barbaro invasore aveva distrutto dalle fondamenta.
Quando nel 1174 l’imperatore scende per la quinta volta in Italia dal Moncenisio trova la Lega Lombarda già costituita e decisa ad ogni evento. Brescia il 29 maggio 1176 partecipa, con la sua cavalleria, alla titanica pugna della compagnia della morte, dalla quale a stento può salvarsi lo stesso Barbarossa che si nasconde fra i caduti e lascia sul campo lo scudo, la croce, la lancia, la cassa imperiale.
Nel 1183 d.C. Federico, con il trattato di Costanza del 25 giugno, riconobbe ai Comuni le franchigie di cui avevano goduto ab antiquo e concesse alle città della lega il diritto di mantenere le loro società, di formarne delle nuove, di avere propri magistrati. Il trionfale successo sull’usurpatore suscitò anche nel Bresciano novelle energie e savi ordinamenti sviluppando le industrie ed i commerci, nonché la graduale emancipazione dei servi della gleba. Ma purtroppo nelle mirabili virtù erano latenti i germi della dissoluzione. Ben presto i Comuni presero a gareggiare tra loro, non già in saggia ed equilibrata emulazione, bensì in deplorevoli rivalità.
Il 26 marzo 1189 una schiera di prodi bresciani transitò dalle sponde del Benaco per portarsi in Palestina dove Gerusalemme era caduta nelle mani degli infedeli guidati da Saladino. Anche il Barbarossa, sebbene vecchio, aveva partecipato alla crociata di rivendicazione, ma nell’Asia Minore, varcando il Selef, vi perdette la vita.
FEDERICO II, EZZELINO DA ROMANO DAI COMUNI ALLE SIGNORIE
Nel 1222 un uragano e ripetute scosse di terremoto fecero crollare gran parte del memorabile castello romano di Scovolo. Nel contempo tutta l’Italia Subalpina, Brescia e la provincia furono aspramente percosse dal fenomeno sismico. Castelli, chiese, palazzi squarciati andavano rinnovando ad ogni poco il danno ed il terrore. Nel 1227, contro Federico II (che nel 1220, a ventisei anni, sistemate le cose del suo regno in Germania, venne in Italia, dove Onorio II lo corona imperatore), per opera del bresciano Poncarale veniva rinnovata la Lega Lombarda nella bresciana terra di Mosio; ma questa sacrosanta unione riducevasi nel 1238 alle sole Milano, Brescia, Piacenza e Bologna. Federico alla testa di tutto il suo esercito ingrossato dalle bande di Ezzelino il 3 agosto 1238 pose assedio a Brescia ma, dopo due mesi, dovette retrocedere. La mattina del 30 agosto 1258 in località Torricella, narra il Malvezzi, avvenne una terribile battaglia tra Ezzelino III e Brescia, nella quale perì quasi tutta la nobiltà bresciana; quattromila cittadini caddero nelle mani del tiranno che li mandò a torme a perire, con feroce varietà di tormenti, a Verona. La città fu ben tosto in suo potere e vi perpetrò le usate barbarie. Fu indi ripartita tra lui, Dovara e Pellavicino, ma poiché questi seppero che molinava contro di essi si allontanarono lasciandola tutta in suo potere.
SCALIGERI E VISCONTI
Dalla seconda metà del XIII secolo fino all’insediamento definitivo della Serenissima è un continuo guerreggiare tra Visconti e Scaligeri per il possesso della Riviera occidentale del lago ma, nel frattempo, si concretizza l’unione della Comunità della Riviera e l’insediamento della politica della Serenissima che diventerà operativo nel 1426.
1259 d.C. – Morte di Ezzelino III e nascita degli Scaligeri – la famiglia ghibellina degli Scaligeri (denominata Della Scala) aveva inizio nella seconda metà del secolo XIII, quando fu sterminata la potente casa ghibellina da Romano, che a mezzo del suo Ezzelino III per oltre trent’anni aveva dominato specialmente sulla sponda veneta del lago. Questo mostro ferocissimo finiva ucciso in battaglia a Cassano d’Adda il 27 settembre 1259 dal nobile bresciano Mazzoldo Lavellongo. Scomparso Ezzelino la storia registra che un Mastino I° (credesi d’origine tedesca) fu podestà nel 1260, poi capitano del popolo veronese. Mantenne il dominio con fortezza e nel 1275 sottomise Trento e Manerba. Già ricordammo che Mastino I creò la Signoria degli Scaligeri, la cui rapacità si volse anche alle sponde del Benàco.
Ha luogo a Sirmione, nel 1276, la cattura dei Patarini (eretici catari) da parte di Alberto Della Scala.
Nel 1279, dopo la pace di Montichiari, la città di Brescia decretava l’atterramento di torri e case per punire le popolazioni ad essa ribelli e cioè quelli di Scovolo, Manerba, Bedizzole, e di quant’altre borgate si erano volte contro di essa, e bandiva un decreto che vietava di rialzare i distrutti castelli e di abitarne il luogo.
1282 – nell’antica pieve di Maderno furono trovate le reliquie di S. Ercolano
A più riprese negli anni 1330/31 Mastino II Della Scala entrò in Riviera e conquistò tutti i castelli più importanti, ma poi tornò nelle sue terre, spinto anche dalla reazione di Brescia.
Mentre la Riviera occidentale passava dai Visconti agli Scaligeri in più riprese, i nobilissimi sentimenti della Riviera ebbero suggello il 4 novembre 1334 nella solenne proclamazione degli statuti da parte del Generale Consiglio. Essi stabilivano che tutte le terre della Riviera, strette in Federazione, avessero una legge sola a cui obbedire nell’interesse comune. Dal verbale di quella riunione risultava che la Riviera occidentale, con capoluogo Maderno, si poneva sotto la protezione di Venezia; nel 1344 d.C. può dirsi avesse inizio il dominio del veneto leone sui benacensi, ma si effettuerà ufficialmente in data 6 ottobre 1426.
1354 – Giovanni Visconti divide il territorio tra i figli Matteo, Galeazzo e Bernabò; assegnò a quest’ultimo Brescia con la Riviera del Garda. La storia addita Bernabò come uomo superstizioso, crudele, di spirito irrequieto, ostinato contro lo sforzo di molti suoi nemici, pronto a risorgere animoso dalle sventure
Il 6 luglio 1362 Bernabò Visconti, penetra in Valcamonica e poi, di terra in terra, recuperava con le armi quasi tutto il Bresciano. Provvide allora a dividere lo Stato tra i figli, per meglio governarlo e la Riviera venne assegnata a Marco e alla Madre Beatrice, che ne era la tutrice e la governava come rappresentante di Bernabò accompagnando nelle campagne militari feroci comandanti d’armi come il Landò e l’Acuto. In quegl’anni Beatrice portò il capoluogo della Riviera da Maderno a Salò e ne fece rinforzare le fortificazioni in quanto portoni massicci contro i delinquenti comuni erano necessari ma d’altra parte le milizie si ridevano dei ponti e delle saracinesche poiché per conquistare i castelli foravano le mura con le bocche da fuoco. Così gradualmente i manieri si sgretolarono caddero in rovina e vennero abbandonati, mentre si perfezionavano nuovi ordigni di offesa e di difesa.
1375 d.C. – Muore Cansignorio della Scala – Ormai la Signoria degli Scaligeri era in decadenza e la loro legittima discendenza andava estinta nel 1375 con la morte di Cansignorio uccisore del fratello Cangrande II ed usurpatore del suo dominio.
1385-1402 d.C. – Il 16 maggio 1385 Gian Galeazzo, nipote di Bernabò, a tradimento lo trasse prigioniero con la famiglia nel castello di Trezzo, dove lo fece avvelenare con un piatto di legumi di cui dicesi andasse ghiottissimo. Assicurata la signoria di tutti i domini Gian Galeazzo s’intromise nelle lotte fra Carraresi (Padova) e Scaligeri (Verona) e, senza scrupoli abbattè gli uni e gli altri invadendone lo Stato (1387-1388). Il castello di Sirmione venne occupato nello stesso anno dalle truppe Viscontee.
Il 9 aprile 1396 i Visconti fissano a Salò il Podestà con titolo di Capitano e Rettore della Riviera del lago. Le terre che formavano la Comunità o Federazione erano 33, e ciascuna di esse aveva suoi particolari statuti criminali, civili e amministrativi, coordinati a quelli dell’intera comunità.
Da Gian Galeazzo era stato raggiunto l’apogeo della dominazione Viscontea quando la sua costruzione politica, architettata con qualsiasi mezzo, buono o malvagio, fu improvvisamente stroncata, e si sgretolò per la incapacità dei successori. Vittima della pestilenza moriva nel castello di Malegnano il 3 settembre 1402 e si può dire che allora Milano e il suo territorio fossero il centro di una piccola monarchia che dalle Alpi scendeva nel cuore dell’Umbria. Dopo una breve divisione dello stato, tutto ricadde nelle mani di Filippo Maria ma, causa la ribellione delle città e l’ingordigia dei comandanti di suo padre (come Pandolfo Malatesta), il ducato si sfasciò.
LA SERENISSIMA E LA MAGNIFICA PATRIA
La Serenissima, pur avendo perso una parte dei suoi domini, fioriva nei commerci, quindi pensò di ricuperare i territori, anzi di accrescerli con la sua acuta diplomazia, e riuscì a persuadere la reggente Caterina Visconti, madre di Filippo Maria, di venderle il Veronese (1404), così recuperò dapprima la riviera orientale del lago.
Il 6 marzo 1426 poi, i bresciani prestarono giuramento di fedeltà indissolubile alla Serenissima riuniti in S. Pietro de Dom. Ivi si raccolsero i cittadini e le rappresentanze di tutte le terre della provincia.
L’11 ottobre 1427 la battaglia di Maclodio aveva strappato il rampante leone di Brescia alla ducale corona dei Visconti, ma Filippo Maria, profondamente offeso, tenta allora di ricuperare la città a mezzo del Piccinino, che la stringe nel 1438 in un cerchio di ferro e di fuoco.
Galeas per montes: Per ovviare alla mancanza di arsenali sul Benaco e per evitare le milizie del marchese Gonzaga, che era passato con i Visconti, la Serenissima decise l’immane operazione di destinare al lago un certo numero di navigli facendoli risalire per la Val d’Adige; giunti al lago, era necessaria la conquista del castello di Salò, ma vari episodi sfortunati portarono alla vittoria dei milanesi.
L’importante castello di Salò, posto a difesa del territorio bresciano venne espugnato prima dal Piccinino, indi lo tenne il Gonzaga il quale aveva lasciata la Serenissima per allearsi ai Visconti.
Il 10 aprile 1440 vi fu una memorabile battaglia navale decisiva per le sorti di Brescia e della riviera occidentale:Alcuni della flotta Viscontea si salvarono, la maggior parte affogati, o feriti, o caduti prigionieri, o trafitti e uccisi. Ai veneziani rimase il trofeo di quattrocento prigionieri e di grande quantità d’armi. Lo stesso Talliano del Friuli riuscì a stento, ferito, a porsi in salvo a Riva.
26 maggio 1449 – Espulsioni degli ebrei dalla Riviera erano conseguenza della propaganda avversa di molti cristiani che esercitavano in concorrenza l’usura più spietata.
1484 dc. – Peste nella Riviera e a Salò – Nel 1484 la riviera Benacense fu afflitta nuovamente da un fiero morbo ed il Consiglio della comunità di Salò provvide a costruire un lazzaretto
1506 dC. – Nel 1506 moriva Solimano imperatore di Costantinopoli, che aveva per tanti anni con Carlo V e Francesco I martoriata l’Europa. Infatti nella lunga guerra fra l’imperatore e il re di Francia, il turco Solimano era alleato sovente di quest’ultimo e mandava le sue navi in spedizioni di pirateria ad infestare le coste dei paesi cristiani e particolarmente dell’Italia.
1508-1515 dC. – Lega di Cambrai contro Serenissima: Venezia, aveva in quel tempo litigato col Pontefice Giulio II proprio a cagione della apprezzata terra di Pontevico, quindi segretamente si accordarono Luigi XII, l’imperatore di Germania Massimiliano I, il re di Spagna Ferdinando V il Cattolico, quel d’Inghilterra, il Papa Giulio II, alcuni principi italiani fra i quali i duchi di Savoia e di Ferrara, il marchese di Mantova e persino il re d’Ungheria fissando una Lega contro Venezia che ebbe luogo il 10 dicembre 1508 a Cambrai. Venezia perde a Ghiaradadda il 14 maggio 1509 e i francesi di Luigi XII entrano in Brescia e poi Peschiera.
1515 muore Luigi XII subentra Francesco I, il 14 settembre 1515 c’è la battaglia di Melegnano con la quale Venezia si riprende quasi tutte le terre, rimane ai francesi Milano.
1516 – Nel gennaio, alla morte del re di Spagna Ferdinando, assunse il trono il nipote diciottenne Carlo d’Austria. Il nuovo re di Francia Francesco I, giovane di 22 anni, covava nello spirito la riconquista del ducato di Milano, e passò le Alpi dalla Stura per realizzarla. A tale scopo si alleò, col trattato di Blois, alle repubbliche di Venezia e Genova contro il Papa, l’imperatore Massimiliano, la Spagna e Milano.
Il 25 febbraio 1525 l’esercito di Carlo V e quello di Francesco I, guidato da lui stesso, si scontrarono a Pavia, e dopo una pugna terribile e ostinata i francesi andarono in rotta. Vi rimase prigioniero il Re che aveva combattuto come un leone e uccisi molti guerrieri. Ma si consolò di tanta perdita scrivendo a sua madre: ” Tutto è perduto fuorché l’onore! “. Dopo quindici giorni da questa battaglia non rimase più un solo francese in Lombardia, e Francesco I languiva prigioniero in Spagna.
1543 circa – Accademia degli Unanimi a Salò
LA BATTAGLIA DI LEPANTO E L’INDEBOLIMENTO DELLA SERENISSIMA
La guerra contro l’impero Ottomano, sebbene inizialmente vinta dalla lega cristiana a Lepanto, vede nel tempo la Serenissima impegnare da sola immani risorse che alla fine causarono la sua rovina.
La mattina del 7 ottobre 1571 si scontrarono le due flotte nel golfo di Lepanto, quella cristiana e quella dei turchi ottomani. Piena ebbero la vittoria i cristiani, ma gravissime le perdite; ascesero a trentamila e forse più i caduti dei musulmani, compresi i feriti e i prigionieri. I veneziani e il Papa avrebbero desiderato incalzare i nemici, e ritogliere loro gli acquisti mal tolti ma la Spagna non assentì. Poco dopo Pio V morì, e i Veneziani, non aiutati, fecero pace coi Turchi, ma incassando grandi spese per la lunga e terribile guerra sostenuta che assorbì tutte le risorse e le residue energie di Venezia. Dal secolo XVI al XVIII si svolgono i tentativi dei Turchi Ottomani per estendere il loro potere al di qua della Penisola Balcanica e del Mediterraneo Orientale.
Oltre alla guerra contro i turchi, a mettere a dura prova Venezia e la Riviera, in quegli anni (1576) si sviluppa un’epidemia di peste, chiamata in seguito “peste di S. Carlo” che colpirà poi anche Milano.
il 24 luglio 1580 l’Arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Borromeo si recava in qualità di Legato Apostolico nei paesi della Riviera.
Il 17 maggio 1630, sulla provincia di Brescia si abbattè l’orrendo flagello della peste bubbonica che il Manzoni ha mirabilmente descritto.
LA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA E AUSTRIACA
1700 – Il 1° novembre del 1700 muore Carlo II di Spagna chiamando erede il nipote di Luigi XIV per nome Filippo d’Angiò; alla guerra per la successione di Spagna parteciparono l’imperatore di Germania, il re di Baviera e il re di Francia Luigi XIV per dividersi l’eredità, mentre la Serenissima decideva oramai di rimanere neutrale. Gli scontri tra questi eserciti si svolsero sul nostro territorio e l’intera Riviera venne depredata. Venne segnata finalmente la pace il 13 maggio 1706, e con la pace poterono riprendere vita anche i commerci e le industrie della Riviera di Salò. Si prospettò quindi un periodo di tranquillità fino alla guerra di successione austriaca (1735-1748), quando vi furono per la Riviera effetti simili a quella di Spagna.
IL BANDITISMO
Intorno al 1750 si era intensificato quel banditismo già sorto circa due secoli prima, combattuto dal Veneto Senato in una vana lotta per spegnere la mala pianta, che era invece cresciuta mettendo più profonde radici. I buli pullulavano ovunque, protetti dai signorotti che li assoldavano schernendo il governo e le sue leggi, opponendosi con le armi alle Ducali. I giudici poi erano ridotti a chiudere un occhio, e sovente tutti e due sulle gesta criminose dei malviventi.. Il Governo prometteva e poi lasciava correre seguendo l’esempio dei Sovrani di quel tempo.
Non infondata era questa reazione invelenita da certi signorotti dissoluti e crudeli, che recavano nel sangue gli istinti perversi, derivati dalle origini feudali di sopraffazione e conquista. Ogni giorno più si ampliava il dissidio fra il popolo e i potenti. Il territorio dovizioso e il traffico fiorente della Riviera, se arricchivano le classi mercantili e industriali, e con esse l’aristocrazia, non rappresentavano che una mediocre risorsa per la classe lavoratrice, soggetta a contratti disastrosi. La disperazione costringeva talvolta il disoccupato al banditismo volgare, indi ai vizi conseguenti.
NAPOLEONE E LA FINE DELLA SERENISSIMA
Il 26 marzo 1796 fu mandato in Italia Napoleone Buonaparte, Venezia era ormai condannata a morire dal Bonaparte che, come si sa, la cedette all’Austria; il trattato di Campoformio, a ratifica dei preliminari di Leoben, effettivamente fu firmato il giorno 17 ottobre del 1797 a Passeriano dove s’era stabilito il generale Bonaparte nella villa di Lodovico Manin, ultimo doge di Venezia.
1809 dal Palazzo Imperiale Napoleone di suo pugno apporta correzioni e appone un semplice B. in calce al decreto di nomina dei Senatori del Regno d’Italia, disponendo per l’apertura del Senato il primo giorno dell’aprile di quell’anno 1809.
1814 dopo Napoleone gli Austriaci, Caduto Napoleone il popolo italiano dovette subire l’invincibile potenza dell’Impero absburgico, temperata da larghe promesse d’indipendenza e di libertà alle quali non corrispondevano i fatti.
Dal 1816 al 1848 l’Italia dovette riconquistare la sua indipendenza con una sequela di congiure, di sommosse, di dolori, di sacrifici indicibili. Per oltre 33 anni angosciosi gli austriaci, dominando la Lombardia e la Venezia, tennero la popolazione bresciana con un pugno di ferro.
PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA
Il 18 marzo 1848 Milano insorge contro l’Impero austriaco durante le Cinque giornate e il 22 marzo anche Venezia aveva cacciato gli austriaci (che si ritirarono nel quadrilatero, costituito dalle quattro fortezze di Verona, Peschiera, Legnago e Mantova ) e proclama quindi la Repubblica di San Marco.
Allora il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia, il 23 marzo 1848, si pose a capo di una coalizione di Stati italiani e dichiarò guerra all’Austria, per conquistare il Regno Lombardo-Veneto. Ma quando il papa si ritirò dal conflitto poiché l’impero austriaco aveva minacciato uno scisma, la maggior parte degli stati italiani ritirò il proprio appoggio all’impresa. Rimase così solo il Piemonte sabaudo a combattere contro l’Austria.
In Toscana i democratici diedero vita alla Repubblica Toscana. A Roma il Papa, Pio IX, dovette rifugiarsi a Gaeta e il 9 febbraio 1849 fu proclamata la Repubblica Romana, di cui fecero parte Mazzini e Garibaldi. Brescia aveva il governo provvisorio, scacciando i principi Sigismondo di Austria e di Schwarzemberg, mentre la guardia civica ripuliva la città degli avanzi di 4000 uomini al loro comando, in precipitosa ritirata verso il quadrilatero.
L’ 11 giugno di quell’anno 1848 l’atto di annessione della Lombardia al Piemonte.
La prima guerra si concluse nel marzo del 1849, con la sconfitta di Novara. Da ricordare la cosiddetta Carica di Pastrengo, compiuta da soli 300 Carabinieri che col sacrificio della vita respinsero migliaia di soldati austriaci. Ovunque e particolarmente nella Riviera del Benaco, pullularono associazioni segrete.
Nonostante la fine della guerra tra il regno sabaudo e l’Austria, le lotte continuarono in varie città d’Italia.
SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA
La seconda guerra d’indipendenza italiana venne dichiarata il 27 aprile 1859 e vede schierati da un lato la Francia e il Regno di Sardegna e dall’altro l’Austria. Gli eserciti franco-piemontesi, guidati da Napoleone III, sconfiggono gli austriaci nelle battaglie di Magenta, Solferino e San Martino. Successivamente, però, Napoleone III abbandonò la guerra, per il sanguinoso bilancio successivo alla Battaglia di Solferino e San Martino e perchè timoroso di un eventuale allargamento del conflitto in Europa centrale, avviò trattative con l’Austria, con la quale firmò l’armistizio l’11 luglio 1859, a Villafranca di Verona.
La Francia ottenne dall’Austria la Lombardia, con l’esclusione di Mantova. Cavour deluso si dimette.
Nel 1860, La Francia e il Piemonte convennero per l’annessione al Regno di Sardegna, del Ducato di Parma e Piacenza, della Legazione delle Romagne, del Ducato di Modena e Reggio e della Toscana, dove un governo provvisorio si era insediato ponendo fine al Granducato di Toscana. Il 24 marzo 1860 il Regno di Sardegna cedette alla Francia quanto previsto dai patti in cambio del Lombardo-Veneto: la Savoia e la provincia di Nizza (1859).
Venezia rimane sotto il controllo austriaco, lo Stato Pontificio, sotto il governo del Papa e il Regno delle due Sicilie sotto la monarchia assoluta dei Borbone.
La guerra fu dichiarata il 27 aprile 1859. Il 21 maggio i franco-sardi hanno vinto a Vercelli e il 6 giugno si apprende con giubilo nella Riviera del Garda la notizia della felice battaglia di Magenta. Sono giorni di ansia indicibile.
L’undici giugno, prima che l’alba spuntasse, gli Austriaci lasciavano Brescia, e per sempre. Il 12 scomparivano gli stemmi dall’aquila bicipite sostituiti subito dal tricolore.
All’alba del 12 giugno 1859 era un fervore, un brusìo diffuso, il sonoro scalpitar dei cavalli, il frastuono di sterminate file di pezzi, di cannoni, di prolunghe, il calpestio dei fanti corruschi d’armi per tutto il terreno fra il Ticino e il Mincio e ancor più, vicino a noi, dall’Adda all’Oglio. La sera stessa del 24 giugno gli austriaci sgombrarono la linea del Mincio riparando sotto i forti di Verona, mentre sul colle di S. Martino, là dove oggi sorge l’Ossario e s’estolle la monumentale torre consacrata ai combattenti di quella fatidica giornata, sventolava la bandiera tricolore nel cielo purificato dal lavacro di tempesta e di sangue.
trattato di Zurigo col quale il 10 novembre 1859 l’Austria cedeva all’Italia la Lombardia. Il 18 febbraio 1861 a Torino fu aperto il primo Parlamento Italiano coll’intervento dei deputati della città e provincia di Brescia.
Spedizione dei Mille
Il 5 maggio 1860, Giuseppe Garibaldi salpò con i Mille da Quarto, nei pressi di Genova, dando avvio alla famosa Spedizione e, con l’appoggio di Vittorio Emanuele II, avanzò rapidamente risalendo la Penisola.
Intanto l’esercito sardo batteva quello pontificio nella Battaglia di Castelfidardo, con l’annessione delle Marche e dell’Umbria al Regno di Sardegna. In seguito all’incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, avvenuto nella città di Teano, anche tutte le regioni del sud entrarono nel regno sabaudo.
Con un’Italia oramai unificata dalle Alpi alla Sicilia (ma ancora mancante del Triveneto e del Lazio), il 17 marzo 1861, il parlamento nazionale riunito a Torino (capitale del nuovo Stato) proclamò la trasformazione del Regno di Sardegna in Regno d’Italia di cui quindi Vittorio Emanuele II fu il primo re.
LA SPEDIZIONE DEI MILLE
il 4 aprile 1860 ai grido di libertà e d’Italia Palermo eleva le barricate
Sappiamo che nel giugno del 1865 la capitale d’Italia fu trasferita a Firenze, proprio nella ricorrenza del 6° centenario di Dante, e la nuova Camera, eletta in novembre, si trovò di fronte a gravi problemi finanziari e politici. Al governo stava il Lamarmora, già collaboratore e amico di Cavour, che cercava un alleato per la guerra contro l’Austria e lo trovò nella Prussia, pure aspirante all’unità e indipendenza. Col nuovo anno fu steso un trattato di amicizia convenendo che potesse convertirsi in alleanza difensiva e offensiva per ottenere all’Italia tutto il lombardo-veneto e alla Prussia il predominio nella Confederazione germanica.
Il 17 giugno 1866 Garibaldi rivedeva Brescia e ivi stabiliva il suo quartiere generale prendendo alloggio all’Albergo d’Italia
TERZA GUERRA D’INDIPENDENZA
Alla completa riunificazione dell’Italia mancavano ancora l’acquisizione del Veneto annesso nel 1866, di Roma annessa nel 1870, di Trento con il Trentino e di Trieste con la Venezia Giulia, annessi tra il 1915-1918 (prima guerra mondiale). Nel 1866 il regno d’Italia si alleò con la Prussia contro l’Austria. La guerra sul fronte italiano fu segnata da alterne vicende, ma la vittoria prussiana consentì al Regno d’Italia di annettere il Veneto.
PRIMA GUERRA MONDIALE (o Quarta guerra d’indipendenza)
Il conflitto cominciato in Italia il 24 maggio 1915 con la dichiarazione di guerra da parte dell’Italia all’Austria-Ungheria, si sarebbe poi concluso il 4 novembre 1918 con il dissolvimento dell’Impero austro-ungarico e l’annessione all’Italia di parte dei territori promessi in seguito ai patti segreti di Londra stipulati dal Regno d’Italia con i paesi della Triplice Intesa. Con Trento e Trieste annesse al territorio italiano si concluse il processo di unificazione.
Il trattato di Saint-Germain-en-Laye del 1919 non garantì però tutti i territori promessi all’Italia dall’Intesa, infatti rimase irrisolto il problema di Fiume, che non fu annessa e divenne motivo di scontro tra l’Italia e le potenze alleate.
Lago di Garda storia e origini