Galeas per montes
Galeas per montes
Corre l’anno 1438, le milizie di Filippo Maria Visconti stanno assediando Brescia e la Serenissima ha tutte le vie sbarrate per poterla soccorrere, viene presa la decisione dal Senato veneto di mettere in atto un’idea che ha dell’incredibile, far arrivare le navi sul Benaco risalendo l’Adige e poi trasportandole su terra passando dal lago di Loppio per aggirare le linee nemiche, conquistare il castello di Salò e portare quindi rinforzi a Brescia. Così racconta questa impresa Marco Gerosa nel suo “Il Benaco nei ricordi e nelle sovrane bellezze”.
Galeas per montes. Una flotta valica il Baldo. L’ esercito veneto era impotente a sostenere l ’eroica città. Il 1° dicembre 1438 il doge scriveva a Pasquale Maripiero invitandolo a soccorrere Brescia, sia attraverso i monti che per la via del lago. Dal canto suo il Senato stabiliva di attenersi al progetto concretato da Biagio degli Alberi e da Nicolò Sorbolo. Questi a vincere le difficoltà della mancanza di arsenali sul Benaco, suggerivano di destinare al lago un certo numero di navigli facendoli risalire per la Val d’Adige. Il disegno arditissimo incontrava seri ostacoli, oltreché per le impervie vie anche per le difficoltà di sicurezza sull’ Adige e sul Mincio ch’erano per buona parte in potere del nemico, molto più che il marchese Gonzaga di Mantova aveva stretto alleanza col Duca di Milano vigilando quei fiumi. Il Sorbolo, nativo di Candia, espertissimo uomo di mare, doveva dapprima, come avviene di tutte le imprese ardue, inverosimili, suscitare lo scherno e il disprezzo. Si presero in esame altri mezzi più semplici per recare aiuto a Brescia, ma alla fine la proposta del vecchio lupo di mare ritornava insistente ad imporsi alla Signoria che si decise a studiarla, a vagliarla e concluse con l’ approvarla come unica soluzione nel caso estremo e disperato.
L’ arsenale di Verona ebbe incarico di costruire due grosse galere, tre altre minori e trentacinque piccoli bastimenti tra galeotte e gazzare che in breve con ingente spesa, furono varate, e sotto la direzione del Sorbolo trascinate a ritroso per l’ Adige con sforzi inauditi, con accanita volontà e tenacia. Dopo immane fatica di uomini, che impiegavano gran numero di bestie, dalla conca di Mori, raggiunta nella scalata dello scosceso Baldo, i legni riuscirono a pervenire nel laghetto dell’Oppio o di Loppio.
Ripresa nuova lena s’ accinsero quegli arditi con ostinato vigore all’ opera gigantesca del valico dei monti, su per balze e dirupi, per sterpi e boscaglie, lentamente movendo in lunga teoria sotto la sferza del sole o delle pioggie, assillati dall’ ansia di attingere la mèta.
Funi, argani, rulli, leve funzionavano sotto i muscoli tesi fino allo spasimo, spingendo ora i vascelli interi ora le parti scomposte e separate di essi.
Finalmente poterono guadagnare l’ ultimo poggio, e di là contemplare l ’ azzurra distesa del lago scintillante di luce, iridescente come un presagio di vittoria nella superba cornice dei lauri e degli ulivi. Da quell’altura la flotta scese in breve a toccare le acque del Benaco nel sicuro porto di Torbole, situato in un’ amena valle fiancheggiata da monti altissimi, alle foci del Sarca il principale affluente che forma il lago. II miracolo è compiuto e un naviglio meraviglioso spiega ora nelle onde palpitanti le gloriose insegne di Venezia che si tingono dei colori di porpora e d’ oro dell’ alba nascente: Ecco le possenti galere lunghe, tozze, col bordo basso, speronate a prora, che potranno essere spinte a forza di remi od a vela, e più tardi munite di spingarde. Spicca fra esse la galeotta più agile e veloce, manovrata a remi da 92 uomini, capace di portare fino a 200 combattenti, e intorno ad esse, irrequiete sui flutti nei moti continui di beccheggio e di rullìo, le gazzare affidate a 30 rematori, della portata molto minore, e le fuste più piccole ancora. Pietro Zen e lo stesso Sorbolo assumono il comando della flotta.
La prodigiosa novella corse rapidamente, inattesa a Venezia ed a Brescia dove suscitò le più liete speranze ed un giubilo indicibile. L’ armata del Garda dava affidamento che le sospirate vettovaglie sarebbero giunte alla città stretta d’ assedio, attraverso le rive occdentali del lago. L’ ardua impresa costò alla Repubblica 15.000 ducati.
Scontro con l’esercito dei Visconti
Era necessaria la conquista del castello di Salò che sorge all’ estremo del golfo e della Riviera Occidentale. Ad esso si avvicinarono, assalendolo da parti diverse, il marchese Taddeo d’ Este, già strenuo difensore di Brescia, il conte Avogadro e Tebaldo Brusato, mentre l’ armata di Zen sorreggeva l’ assalto dal lago e tentava lo sbarco. Senonchè Taliano del Friuli, rotte le schiere del marchese, per Bedizzole e Manerba giunse a rendere vana l’ impresa dei Veneziani. Il naviglio s’ ancorò allora a Maderno dove resisteva ancora il marchese d’ Este. S’avventò contro di esso il Piccinino e parecchi galeoni raccolti da Taliano a Desenzano costrinsero i Veneziani a rifugiarsi nel porto di Torbole. Non potevano questi darsi pace per tante avversità, nè si capacitavano che un’ armata famosa sul mare dovesse subire l ’ onta delle sconfitte in un lago guadagnato a prezzo di gravi sacrifici. Nuovi vascelli furono costruiti, e riattati quelli malconci. Correva allora l ’ anno 1440 ed ancora una volta la flotta della Serenissima rimase avviluppata da forze superiori del Piccinino che ne predò quasi tutte le navi. ……… Nel 1440, colto il Gattamela da apoplessia, fu sostituito nell’ arduo compito intrapreso dal valentissimo Francesco Attendolo, detto poi Sforza per il gran tempestare che faceva dei nemici. Anche costui era passato, more solito, dal soldo del Visconti a Venezia. Frattanto Brescia stava, come già accennammo, attraversando un periodo tremendo, ridotta a tale penuria di viveri che non si sarebbe trovata a peso d’ oro una quarta di grano. Gli abitanti dovevano pascersi di erbe e d’ immondi animali, mentre un pane cattivo, nero e affumicato veniva a stento loro distribuito.
Ogni rifornimento trovava ostacolo insormontabile nell’ esercito milanese, che assediava la città e teneva il possesso del castello di Salò, del passo di Tignale, intanto che la flotta costeggiava attentamente il litorale del lago.
Per debellare l ’ armata Viscontea e aprire un adito alle vettovaglie il doge Francesco Foscari intensificò l ’ azione delle armi sul Benaco.
Liberazione del castello di Salò
La riviera rimbombò ovunque di cavalli e di fanti; l’ azzurro e placido lago, solcato dalle armate ostili, fu percosso da funesti clamori, da pianti ed urli di odio e di morte. L’ importante castello di Salò, posto a difesa del territorio bresciano venne espugnato prima dal Piccinino, indi lo tenne il Gonzaga il quale aveva lasciata la Serenissima per allearsi ai Visconti. Fuggiva nell’ orrore di una notte d’ inferno la popolazione al tumulto della soldataglia irrompente, avida di vendetta e di bottino. Intanto i rivieraschi atti alle armi, guidati da Cornino, Ettore Malatesta Lancetta s’ univano ai bresciani accorsi a Gavardo per arginare quel flagello.
Memorabile è la battaglia navale del 10 aprile 1440, decisiva per le sorti di Brescia e della riviera occidentale: Allestita a Torbole la flotta cui s’ aggiunsero altri legni riattati sul posto, col favor del vento sortì spiegando le vele e i vessilli di San Marco l ’ intero naviglio della Repubblica veneziana comandato da Stefano Contarini e Nicolò Sorbolo, per sorprendere ed affrontare i legni del duca di Milano condotti dal cavalier Biagio Assereto, capitano genovese famoso per la vittoria di Gaeta. Alle ore 18 Contarini iniziò l’ attacco con quattro ben munite galere, giovandosi del fatto che la flotta nemica, sebbene molto numerosa, era confusa e dispersa.
La battaglia avvenne tra Riva e il Ponale. « Il gridar, lo stridere, il cigolare de’ legni, de le sartie e de le genti, tutto ciò che s’ udiva, ciò che vedevasi rappresentava orror, perigli e morte ». Dapprima la galera Bertuccia fu separata e vinta dal numero, ma ciò vedendo i Veneziani disperatamente si avventarono contro i legni nemici, con tanto impeto che al primo assalto si impadronirono di due galee, poco dopo di una terza, volgendosi quindi a ricuperare la Bertuccia. Questa, gremita di combattenti del Duca, stava per essere trainata al sicuro da una gazzara a mezzo di funi. Vedendosi improvvisamente assaliti i marinai che difendevano la Bertuccia si lanciarono nel lago stringendosi ai cordami, ma balzati i veneziani su quella nave e tagliata la fune precipitarono ventotto marinai nell’ abisso.
Per tre ore imperversò la pugna e già sul lago colorato in rosso calava la notte, mentre le sponde echeggiavano di alto clamore, di lamenti, di imprecazioni, di comandi concitati. I veneziani con una barbota (altra specie di nave da guerra) presero tre galere e quattro fuste; gli altri galeoni ducali furono tutti fracassati e disarmati, pochi malconci, pesti, traforati barcollando ricoverarono nel porto di Riva di Trento.
Alcuni della flotta Viscontea si salvarono, essendo stati la maggior parte affogati, o feriti, o caduti prigionieri, o trafitti e uccisi. Ai veneziani rimase il trofeo di quattrocento prigionieri e di grande quantità d’armi. Lo stesso Talliano del Friuli riuscì a stento, ferito, a porsi in salvo a Riva. Dopo la vittoria del Ponale l ’ intrepida Bona volle portare a Venezia, con la fausta novella, il vessillo tolto a Talliano. La ricevette solennemente con encomi e doni il comandante generale dell’ esercito veneziano.
Tosto lo Sforza determinò di liberare il castello di Salò. Giunto a Bedizzole avviò per la Valtenesi una colonna appoggiata dall’armata veneziana dalla parte del lago. In breve il presidio del castello preso in una morsa di ferro e di fuoco, dovette arrendersi e la popolazione esultante accolse con feste e canti i soldati e i marinai della Veneta Repubblica.
Senza indugio occupato tutto il territorio litoraneo i Veneziani fecero passare vettovaglie e soldati a Brescia, mentre si attendeva lo Sforza a soccorrere finalmente la benemerita e da tanto tempo afflitta città consolidando la vittoria.