Brescia è il capoluogo della Provincia, secondo per popolazione a livello regionale. La sua storia inizia più di 3200 anni fa e, pur essendo tra i principali centri economico-produttivi d’Italia, possiede un cospicuo patrimonio artistico e architettonico; la parte romana e quella longobarda sono state dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO.
TERRITORIO DI BRESCIA
Brescia città si sviluppa in pianura ai colli del monte Maddalena e del colle Cidneo; a nord ha le Prealpi Bresciane, a est le Prealpi Gardesane, a ovest la Franciacorta.
Frazioni: Borgosatollo, Borgo Trento, Brescia Antica, Buffalora, Caionvico, Casazza, Centro Storico Nord, Centro Storico Sud, Chiesanuova, Chiusure, Crocifissa di Rosa, Don Bosco, Fiumicello, Folzano, Fornaci, Lamarmora, Mompiano, Porta Cremona-Volta, Porta Milano, Porta Venezia, Primo Maggio, San Bartolomeo, San Polo, San Rocchino, Sanpolino, Sant’Eufemia della Fonte, Sant’Eustacchio, Urago Mella, Villaggio Badia, Villaggio Prealpino, Villaggio Sereno, Villaggio Violino
Comuni limitrofi: Borgosatollo, Botticino, Bovezzo, Castel Mella, Castenedolo, Cellatica, Collebeato, Concesio, Flero, Gussago, Nave, Rezzato, Roncadelle, San Zeno Naviglio, Travagliato
Altitudine: 149 m s.l.m. – Abitanti: 198.536 (2019) – Nome abitanti: Bresciani
STORIA DI BRESCIA
Le origini di Brescia sono vaghe e sconfinano nella leggenda; da Ercole a Troe che fonda una seconda Troia, agli Etruschi a quella, che probabilmente si avvicina maggiormente alla realtà, di Cidno, re dei Liguri che verso il XIII secolo a.C., invade la pianura Padana e si stabilisce nell’area dell’attuale Brescia, fortificando il colle Cidneo.
Nella storia di Brescia quello che è certo è che i Galli Cenomani nel VII secolo a.C. occupano la pianura tra Adda ed Adige, spingendo nelle valli le popolazioni liguri-euganee e stabilendosi a Brescia che diviene poi la loro capitale. In seguito i Cenomani fondano altre città. Verso il 202 a.C. si viene a creare una confederazione di popolazioni celtiche contro i Romani, ma i Cenomani, che avevano già combattuto al fianco dei Romani contro i Galli e i Cartaginesi, si alleano con i Romani portandoli così alla vittoria; dal 196 a.C. inizia così l’età romana e Brixia godrà di autonomia amministrativa e nell’89 a.C. viene riconosciuta con la qualifica di civitas. Nel 41 a.C. diviene parte del territorio romano e ai suoi abitanti viene data la cittadinanza romana, con l’iscrizione alla tribù dei Fabii. Durante il periodo repubblicano i Cenomani godono di ampia autonomia, fino all’autogoverno e a battere moneta, perdendo però la dicitura “cenomani” in favore di quella di “brixiani”. Brixia viene inserita nella regione X Venetia et Histria, diventa un importante centro religioso con tre templi. Già all’inizio del V secolo iniziano le invasioni barbare: nel 402 viene invasa dai Goti di Alarico, nel 452 viene saccheggiata dagli Unni di Attila; nel 476 Odoacre a capo degli Eruli invade la pianura Padana mettendo fine all’impero romano d’occidente; nel 493 è la volta degli Ostrogoti di Teodorico il Grande, che si stabilisce tra Brixia e Verona; nel 568 viene occupata dai Longobardi di Alboino e ne diventa una delle principali città, capoluogo di un’importante ducato. In questo periodo il centro politico-amministrativo viene portato dal Foro alla Curia Ducis, eretta tra le attuali piazza Vittoria e piazza della Loggia e, a sud di piazza Vittoria, venne creato il quartiere militare denominato “Serraglio”. Durante il regno longobardo sorgono importanti monasteri, come il Priorato di San Colombano di Bardolino, il San Salvatore di Brescia e quello di Sirmione che con la loro opera riattivano l’agricoltura, il commercio, lo sviluppo delle vie di comunicazioni via terra e via acqua, collegando la città ai territori del lago di Garda: Salò, Toscolano, Manerba, Sirmione e anche sulla sponda veronese tramite il fiume Mincio e l’Adige. Bresciani sono i re longobardi Rotari (suo l’editto del 643 con la prima stesura scritta delle leggi longobarde), Rodoaldo e Desiderio. Con Carlo Magno nel 774 Brescia diviene contea del Sacro Romano Impero. Verso la fine del X secolo, anche a Brescia gli imperatori iniziano a dare buona parte del potere nelle mani dei vescovi cittadini per contrastare quello dei nobili, ma a “contrastare” i vescovi c’è il Comune che nel tempo ha esteso il suo territorio militarizzando le sponde dei fiumi Oglio, Chiese e del lago di Garda, scontrandosi con le signorie territoriali del contado e quelle dei Comuni confinanti, in particolar modo Bergamo e Cremona. Nella seconda metà del XII secolo Brescia fa parte della Lega Lombarda assieme a Milano e Piacenza contro l’imperatore per l’autonomia comunale e si distingue nella battaglia di Legnano. Con la Pace di Costanza del 1183 viene definitivamente riconosciuta l’autonomia comunale, ma dall’inizio del XIII secolo iniziano i conflitti civili con l’allontanamento dalla città dei nobili, che si rifugiarono a Cremona e da lì organizzano scontri con l’opposta fazione cittadina; scontri che continuano fino alla fine del secolo. Con la fine della dominazione di Ezzelino da Romano nel 1259, il libero Comune passa sotto la protezione di Oberto Pelavicino fino al 1265 e poi sotto quella dei Della Torre di Milano, passa poi a Carlo d’Angiò dal 1269 al 1281. Nel 1279 Brescia combatte contro Verona e Mantova in alleanza con Padova, Cremona, Parma e Modena per il possesso di alcuni castelli e la difesa degli interessi guelfi. Dal 1287 al 1291 si ha la grande ribellione camuna, scoppiata a causa di un patto di Brescia con la Serenissima per il passaggio del sale, la controversia verrà risolta da Matteo Visconti nel 1291.
Nel XIII secolo Brescia è divisa al suo interno tra Guelfi: famiglie Maggi, Brusati, Gambara, Lavellongo, Poncarale, Sala, Palazzo, Martinengo, Griffi, Bardelli, Feriola) e Ghibellini: famiglie Boccacci, Occanoni, Prandoni, Alberticoli, Peschiera, Federici, Isei.
Nel 1313 Brescia, per evitare di cadere nelle mani degli Scaligeri, si dona ai Visconti; nel 1317 Matteo Visconti e Cangrande della Scala assediano la città perché aveva scacciato la famiglia Maggi, sostenitrice dei ghibellini e la fanno rientrare.
Nel 1329 Cangrande della Scala occupa una buona parte del territorio bresciano; nel 1330 Giovanni di Boemia e Mastino della Scala sono a Brescia per far rientrare i ghibellini che erano stati scacciati.
Nel 1337 Brescia, che era caduta sotto il dominio scaligero, si dona nuovamente ai Visconti.
Dal 1404 al 1421 passa sotto il controllo di Pandolfo III Malatesta, affidatagli da Caterina Visconti (vedova di Gian Galeazzo e reggente per il figlio Filippo Maria) per sanare debiti nei suoi confronti; egli vi instaurerà una signoria ricca di istituzioni e di artisti di primo piano.
“Era talmente avvilita la gente bresciana, di solito piuttosto fiera e ribelle ad ogni tirannia, che quando si profilò l’eventualità di una signoria di un estraneo, avvenne un fatto strano, diremmo quasi assurdo; non si ebbe alcun moto di ribellione e ci si adattò al fatto nuovo.
Secondo noi non fu un cedimento abulico ad un fatto storico quasi ineluttabile, ma piuttosto la speranza di un cambiamento in meglio, come di fatti avvenne, e la possibilità di trattare direttamente in casa propria con un signore del quale non si avevano, come si direbbe oggi, cattive informazioni.” (Fausto Lechi)
Nel 1421 Pandolfo viene liquidato e rientra a Fano, mentre gli subentra Francesco Bussone detto il Carmagnola per conto dei Visconti.
“Filippo Maria Visconti, ancora nel periodo della sua giovane età, non poteva rassegnarsi alla perdita di Brescia e di Bergamo e perciò quando il suo condottiero riconquistò le due città, ne fu felice, ma, invece di accaparrarsi il favore dei cittadini con una nuova amicizia, iniziò una politica repressiva, malaccorta.
Innanzitutto continuò nell’odiosa operazione iniziata da Bernabò, di «murar Brescia», di chiudersi cioè nel noto fortilizio che tagliava in due parti la città. La così detta «cittadella nuova» dal castello, dove per sicurezza abitavano quei signori, arrivava al forte della Garzetta, presso S. Lorenzo ben chiusa fra due alti muri: l’uno corrente continuo sul tracciato delle antichissime mura passanti da porta Bruciata e da porta Paganora, e l’altro a mattina del Broletto e dei due Duomi, girava sulle antiche mura per con giungersi nei pressi di S. Lorenzo con la fortezza che bloccava a sud il sistema difensivo. La ingente spesa per tale opera doveva essere sostenuta per intero dai bresciani.
La pressione fiscale si faceva a poco a poco insopportabile, l’usurpazione di antichi diritti e consuetudini divenne la regola, insomma tutta l’azione del duca si manifestò in poco tempo come una vera e propria vendetta contro una città notoriamente non favorevole al ghibellino vicario dell’impero. Si aggiunga che i Visconti non favorirono mai una vita economica libera dei bresciani ma imponevano un rigoroso accentramento su Milano.
Questo complesso di fatti cagionò un tal malcontento in città e nel territorio che provocò la caduta del dominio visconteo dopo soli cinque anni dalla sua restaurazione.” (Fausto Lechi)
Nel 1426 i Bresciani si rivoltano ai milanesi e si affidano alla Serenissima Repubblica di Venezia; gli scontri tra i Visconti e la Serenissima per questi territori, comunque, continueranno fino alla pace di Lodi del 1454, tra cui l’episodio dell’assedio cittadino di Niccolò Piccinino del 1438, sventato dal capitano di ventura Scaramuccia da Forlì detto il Carmagnola al servizio di Venezia.
“Presi accordi segreti, durante l’inverno, col Carmagnola, che era passato al servizio di Venezia, i bresciani avversari dei Visconti avviarono una sistematica azione militare, reclutando gente decisa nelle valli, specialmente in Val Trompia. Infine i maggiori responsabili si riunirono a Gussago nella casa di Pagnone Raccagni per stabilire le basi organizzative di un’azione decisiva. Vi presero parte Pietro, Achille e Filippo Avogadro, Gherardo Averoldi, Giacomo Mazzola, Pietro Sala, Giovanni Masperoni ed altri e nella notte fra il 16 e il 17 marzo si passò all’azione. La porta dell’Albera, fra porta Pile e porta S. Giovanni, venne assalita da fuori e da dentro …………….. Allora la gente, appostata abilmente in vari posti delle «chiusure» si mosse e, gettate passerelle sulle fosse e innalzate scale sulle mura, si inoltrò nelle contrade e in poco tempo riuscì a conquistare tutte le quadre della città, ad eccezione della cittadella nuova ….. Per snidarli occorreva l’intervento di un vero e proprio esercito. …….. Avvertito secondo precedenti accordi, il Carmagnola, che si trovava nel Trevigiano, subito si mosse e in tre giorni, a marce forzate giunse sotto Brescia. ….. alla fine di marzo il forte della Garzetta e tutta la parte bassa della cittadella furono occupati: non restava da conquistare che la rocca del castello. ….. nella primavera furono riprese le ostilità perché Filippo Maria non si adattava a perdere Brescia. …….. Vi erano in campo veneto quali condottieri il marchese di Mantova, Nicolò da Tolentino, Lorenzo Cotignola ed altri capitani; nel campo visconteo militavano Angiolo della Pergola, Niccolò Piccinino, Francesco Sforza ed altri, ma erano fra loro in grave discordia sotto il debole comando di Carlo Malatesta il fratello di Pandolfo. …… Ne approfittò abilmente il Carmagnola, deciso finalmente di venire ad uno scontro decisivo e il 12 ottobre fu la giornata di Maclodio, disastrosa per i viscontei che perdettero molta gente, soprattutto quali prigionieri. Persino il comandante in capo, il Malatesta fu catturato. Tutti furono poi liberati a caro prezzo; fatto che insospettì la Repubblica.
La guerra continuò ancora per un anno in piccole imprese e il 18 aprile 1428 si addivenne alla prima pace di Ferrara.
Il Carmagnola ebbe larghe ricompense da Venezia: un palazzo sul Canal Grande nella capitale, la casa dei Malvezzi in Brescia e nel territorio la signoria di Chiari con Clusane, Roccafranca e Castenedolo dove vi era una bella casa del Malatesta.
Giovanni Francesco Gonzaga fu il successore del Carmagnola nel comando dell’esercito veneto, per quanto la repubblica non avesse di lui piena fiducia. ………. Infatti quando nei primi mesi del 1437 ripresero le ostilità tra Venezia e Milano, malgrado i successi ottenuti dal suo sottoposto Erasmo da Narni, davanti alla minaccia dei viscontei comandati da Nicolò Piccinino, incominciò una ritirata per la quale abbandonò Bergamo e poi anche Brescia, lasciando incustodito tutto il nostro territorio. Dopo di lui Venezia diede il comando a Erasmo da Narni detto il Gattamelata”. (Fausto Lechi)
Nell’estate del 1438 il Gattamelata riesce a contenere l’avanzata del Piccinino, ma in autunno deve cedere e le truppe nemiche giungono nelle vicinanze di Brescia stringendola poi d’assedio con molti attacchi che danneggiarono seriamente le mura, ma alla fine il Piccinino desiste.
“Il Piccinino, visto che Brescia era imprendibile con la forza delle armi, pensò di farla cadere per fame appostando le sue truppe agli sbocchi delle valli in modo che nessun aiuto potesse arrivare alla città stremata. ……. Fu allora che venne pensato di far risalire l’Adige da una flottiglia di cinque galee e 25 barconi fino a Rovereto e calarla poi a forza di braccia sino a Torbole sul lago di Garda (Galeas per montes). L’impresa, che stupì tutti, riuscì, ma sulle rive del lago facevano buona guardia le truppe del Piccinino.
Seguirono nel 1441 alcuni scontri sinché Francesco Sforza per la Serenissima e il Piccinino per i Visconti si accordarono per una tregua che venne stipulata il 20 novembre e Venezia riebbe tutti i suoi territori sino all’Adda.
Anche negli anni che seguirono alla liberazione di Brescia non vi fu mai pace. Ricordiamo la morte di Filippo Maria Visconti nel 1447; la nascita della effimera Repubblica Ambrosiana con l’elezione di Francesco Sforza a capitano, le due sconfitte subite dai veneziani negli anni 1447 e 1448, il nuovo assedio di Brescia nell’ottobre di quell’anno 1448, …………quando lo Sforza abbandonò l’assedio di Brescia ritirandosi oltre l’Adda, ………. Decisione che prese dopo l’incontro con Pasquale Malipiero, provveditore veneziano amico di Francesco Sforza e cugino del vescovo di Brescia Bartolomeo, che ebbe una parte importante nelle trattative segrete con Cicco Simonetta in Rivoltella al fine di farlo desistere dall’assedio di Brescia per favorirne la sua ascesa al ducato di Milano. (Fausto Lechi)
Durante la guerra della Lega di Cambrai (1512-1517), Brescia viene occupata e saccheggiata dai Francesi comandati da Gastone di Foix-Nemours, ma nel 1517 ritorna sotto il dominio della Serenissima e nel 1571 molti bresciani partecipano a fianco di Venezia alla battaglia di Lepanto, tanto che due galee vengono fornite, uomini e mezzi, da Brescia: la S. Eufemia e la S. Faustino e Giovita.
Con il trattato di Bologna del 1530, nel quale le maggiori potenze italiane e l’imperatore si accordano per un riordino degli stati, segue un periodo di tranquillità ma, con il periodo di pace sorgono nuovi problemi civili, in città e di riflesso anche nei territori collegati: una sequenza di delitti tra le famiglie della nobiltà e il fenomeno del banditismo, che perdurerà anche nel secolo successivo.
Nel XVII secolo Brescia non viene coinvolta direttamente in guerre, ma la crisi economica e la crisi sociale sono diffuse in tutta Europa: le guerre devastano i suoi territori e i Turchi sono sempre minacciosi. Dietro le guerre, le pestilenze portano lutti e dolori senza fine. ……. Brescia per la sua eroica fedeltà a Venezia aveva ricevuto larghi privilegi, ma a poco a poco la Dominante, per le sue gravi necessità di Stato (la difesa delle colonie orientali minacciate dai Turchi) trascura quei favori e impone tali aggravi fiscali e tali dazi sulle merci da spegnere tutte le attività artigianali. A questa gravissima situazione economica viene ad aggiungersi la carestia, il passaggio sempre temuto degli eserciti stranieri in guerra fra loro e infine la peste del 1630.
Il Settecento bresciano sorge e muore fra due guerre; combattute nel territorio bresciano, Chiari (1701) e Lonato (1796), ma per il resto questo secolo è relativamente sereno, non vi sono guerre, non passano eserciti, non ci sono pestilenze, non terremoti. Una sola terribile sciagura colpisce la città, lo scoppio della torre polveriera di Porta S. Nazzaro nel 1769 a causa di un fulmine, fatto che distrugge un quartiere della città e costa la vita a moltissime persone.
Anche le liti intestine fra famiglie potenti sono finite. Le rivalità si placano perché ormai i contrasti politici non sorgono più nel ristretto ambito cittadino, ma si sono spostati nelle sfere più alte delle rivalità fra nazioni. Venezia è stanca: la sua attività d’oltremare si va spegnendo; le città di terraferma in quanto a politica si adeguano anch’esse a quel tenore di vita; se la vita però è all’apparenza tranquilla vi sono molte novità che fanno di questo secolo un secolo sommovitore di idee. ….. Si viene così a formare un ambiente avido di una cultura varia, un sorprendente interesse per l’arte e la cultura, la pittura, il mobilio veneziano, la musica, la voglia di instaurare rapporti con l’estero.
Abbiamo numerosi esempi bresciani come: Gio. Andrea Archetti, cardinale e nunzio, che vivrà a lungo alla corte di San Pietroburgo guadagnandosi la benevolenza degli Zar; Gaudenzio Valotti che diventerà ambasciatore e ministro degli Esteri del Duca di Modena; Gio. Antonio Bettoni che nelle guerre per la Slesia di Maria Teresa raggiungerà il grado di Feldmaresciallo; il conte Pietro Lechi che farà la spola fra la corte di Vienna e il Doge; Durante Duranti che diventerà consigliere intimo di re Carlo Emanuele III di Savoia; Giacomo e Delay Bettoni che in Genova svolgeranno grande attività commerciale; Federico Mazzucchelli che da un viaggio in Russia riferirà una incessante e attenta corrispondenza sulle tristi condizioni di quella gente; Rodolfo Vantini con complementi decorativi e con vere e proprie aggiunte architettoniche; il Manfredini e il Teosa, due ottimi decoratori, con lavori diffusi nei palazzi cittadini; Giacomo Ceruti e Santino Callegari; Antonio Turbini studierà gli ingegnosi accorgimenti scenografici per le sue ville e per i suoi palazzi; Gianbattista Marchetti e suo figlio Antonio; Giovanni Maria Mazzucchelli, scrittore di multiforme attività; Angelo Querini. il grande cardinale bresciano di elezione.”
Brescia rimane sotto la Serenissima Repubblica di Venezia fino al trattato di Campoformio del 1797, diventando in seguito territorio degli stati napoleonici della Repubblica Cisalpina fino al 1814. Nel 1849 si hanno le “Dieci giornate di Brescia”, la rivolta cittadina contro gli Austriaci che vale alla città di Brescia l’appellativo di “Leonessa d’Italia”, con a capo degli insorti Tito Speri che verrà giustiziato nel 1853. Nel 1860 l’annessione al Regno d’Italia.
DA VEDERE A BRESCIA
Castello, Broletto, piazza della Loggia, piazza della Vittoria,