Palazzina Avogadro – Buffoli
Il palazzo si trova nella cittadella vecchia di Brescia, quadra corrispondente all’antica Brixia romana e sede, sin dall’età comunale, delle dimore delle famiglie filo-ghibelline, sotto il castello e sulle pendici del colle Cidneo
Palazzina Avogadro – Buffoli ci viene descritta nelle sue forme e nella sua storia da Fausto Lechi nel suo terzo volume de “Le dimore bresciane in cinque secoli di storia”: Brescia «città de stato» e quindi sensibile agli orientamenti artistici della Dominante, malgrado la sua tendenza a non subire imposizioni di norme altrui, accettò qualche idea, qualche elemento dei grandi architetti che imperavano nelle vicine provincie. Del Palladio, ad esempio, piacquero le logge architravate, ma senza frontone. Una ispirazione agli esempi del grande architetto vicentino, forse un suggerimento, si può notare in questa palazzina Avogadro che un conte si costruì attorno al 1570 sulle pendici del colle del castello, in magnifica posizione a dominare la città e la pianura. È una villa suburbana, per quanto costruita nel cuore della cittadella, per piacevoli convegni oppure per avere un luogo appartato. Il nobile edificio è formato dal solo pianterreno con un cantinato verso monte e un portico di cinque campate strette con grossi pilastri verso mezzodì: questo sui due lati corti; sui lati lunghi semplici finestre. Il primo piano, che diventa, per la pendenza del colle, pianterreno a nord, è nella sua piacevolezza di modello eccellente, senz’altro palladiano. «Ciò che colpisce, scrive il Peroni non è solo il tenore stesso della planimetria, per la sua nitidezza e per la simmetria speculare, ma il concorrere di numerosi elementi palladiani nei dettagli… il tipo del cornicione., .le trabeazioni delle porte e delle finestre… il modulo delle colonne, la forma dei balaustri a profilo ristretto al centro… gli archi del prospetto meridionale. ….. Sul lato corto di mezzodì al primo piano il prospetto presenta cinque campate architravate con colonne e semi colonne joniche con balaustri; in alto un cornicione con mensole. Verso sera, uguali colonne, ma ridotte a due a formare quasi una trifora. Verso mattina invece vi è una porta con stipite in pietra che dà sul piccolo giardino. Quattro finestre per parte sui lati lunghi. ..Nell’interno cinque soli vani: al centro, per tutta la lunghezza del lato corto una sala-galleria sulla quale si affacciano due sale minori a nord e a sud. La sala maggiore centrale ha la volta affrescata da uno dei nostri migliori pittori «da muro» del Cinquecento: al centro un giovane Bacco con Arianna e negli scomparti un ordinatissimo baccanale. Francesco Paglia scrive che questi «vaghi ornamenti di chiaro-scuro» sono di mano di Stefano e Cristoforo Rosa e che Pietro Rosa, figlio di Cristoforo, l’allievo di Tiziano, dipinse in altro locale il ritrovamento di Mosè nel Nilo da una parte ed Ester davanti ad Assuero dall’altra. Cristoforo e Pietro Rosa, fratelli, morirono, secondo il Fenaroli nel 1577. È così stabilita la data presunta nella quale il palazzetto venne finito. Doveva essere stato iniziato, come vedremo, attorno al 1572. Allora, quando venne costruita, la palazzina sorgeva sola, isolata sulle brulle pendici del castello e si poteva quindi ammirare da molti punti della città, come del resto avveniva sino a pochi anni or sono, prima cioè che indiscriminate costruzioni la nascondessero completamente alla vista, togliendo ad essa ogni respiro. Oggi bisogna, come si dice, andarla a cercare. Dai documenti di archivio delle varie famiglie che furono proprietarie di questo bell’edificio, palazzina Avogadro, possiamo ricostruirne la storia. Il Capitano di Brescia, il 2 Agosto 1538, investe a livello perpetuo Antonio de Napoli di una torricella con corte e orto in contrada di Ognissanti con obbligo di versare annualmente L. 1 alla Ducal Camera. Il de Napoli cedette le ragioni di detto livello al sig. Giuseppe Archibusi nel 1541 e questi le passò a Lodovico q. Giovanni Marini nel 1547. Finalmente il Marini vendette il posto al conte Francesco Avogadro che venne investito del livello perpetuo dal Capitano Gerolamo Venier il 31 Agosto 1564; nell’Atto si fa menzione di una casa murata esistente prima del passaggio alI’Avogadro, ma molto facilmente si sarà trattato della già nominata torricella. ….. L’erezione deve essere avvenuta attorno a quel tempo e cioè verso il 1572. È quindi possibile che il conte Francesco, che aveva frequenti contatti con Venezia, avesse incaricato il Palladio del progetto di questa piccola casa di delizie. ….. Essa poi seguì le sorti della agitata eredità di Roberto figlio del conte Francesco Avogadro; passò cioè in proprietà dell’unica figlia di Roberto, Emilia;. …. rimasta vedova essa la vendette al conte Gerardo Martinengo5 Colleoni e risposata col conte Bartolomeo Martinengo Colleoni. …. Ma alla sua morte il Senato veneto si ricordò che il terreno era stato ceduto come livello perpetuo a Francesco Avogadro e discendenti, e, nonostante costoro ne avessero goduto il pacifico possesso per 150 anni, ordinò che nel termine di otto giorni dovesse pagare il catasto del 1635. Saldato il conto con lo Stato veneto, insorse la Magnifica Pietà di Bergamo a pretendere il «casino» assieme al palazzo. …… Nel 1671 morì Emilia senza figli anch’essa ed allora a sensi della transazione del 1713 la Pietà di Bergamo il 15 luglio di quell’anno prese possesso di palazzina Avogadro e pochi anni dopo, il 4 maggio 1736 (atti Agostino Fappani) Io vendette a Carlo Richiedei per scudi 3.000. Dopo vari passaggi, la casa è pervenuta agli attuali proprietari signori Buffoli dai quali è stata accuratamente restaurata.