Palazzo Martinengo (ex Pallavicino)
Palazzo Pallavicino poi Martinengo oggi Terzi si trova sulla strada che, usciti da Salò, porta a Barbarano; simile ad una fortezza, la sua costruzione fu voluta dal Capitano della Repubblica di Venezia il marchese Sforza Pallavicino e risale al 1556. In questo edificio svolgeva i propri compiti la segreteria personale e politica di Benito Mussolini e risiedeva il quartier generale delle forze armate della RSI.
Palazzo Martinengo, viene descritto da Fausto Lechi nel suo “Dimore brescian, cinque secoli di storia”: “E’ un bel palazzo sena architettura di grande rilievo, come del resto molti dei nostri palazzi del Cinquecento. Quando lo Sforza Pallavicino se lo fece costruire, prevenendo di due secoli tutti i signori della Riviera, volle farsi la solita dimora forte, senza tanti ornamenti ma, per il suo tempo, funzionale. Porsi al sicuro da ogni insidia e nello stesso tempo godersi l’incantevole lago. Si tratta infatti di una costruzione massiccia che verso la strada e verso Salò presenta un aspetto piacevole, pur nella monotonia delle finestre, per quel suo alto cornicione formato da lungi modiglioni triplici, e nello stesso tempo una grinta minacciosa con quel torrione che si innalza sullo spigolo ovest, semplice però, sincero, cioè senza velleità medioevali di caditoie, di merli, ecc.; cose ormai inutili. Vi è, più bassa, una garitta con feritoie, sufficiente all’avvistamento ed alla prima difesa, ai tempi degli archibugi. A metà circa del lungo palazzo, troppo lungo per avere un’unità architettonica (e vedremo più avanti a quale supposizione siamo indotti da molti indizi) si apre il semplice portale. Sullo spigolo di mattina si innalza invece un breve tratto di muro che doveva avere il suo corrispondente dall’altra parte della strada quando questa era stretta e poteva essere facilmente superata da un cavalcavia in muratura; sostituito, ahimè, da quello moderno in ferro, molto infelice, malamente mascherato da un rampicante. Nel prospetto verso il lago, che qui forma il largo golfo di Salò, il palazzo presenta la sua vera, chiara organizzazione. Esso è costituito da quattro corpi di fabbricati legati fra loro: il primo, per importanza, è quello che si svolge verso il giardino, cioè verso Gardone Riviera, ed è ad un solo piano oltre il piano terreno; poi, quasi a formare cesura del resto, un corpo avanzato verso il lago come un’ala; indi, in continuazione lineare col primo e di uguale lunghezza, ma , si noti, di minore altezza, un fabbricato a due piani; infine una seconda ala ceh si protende anch’essa verso il lago, partendo dal torrione di occidente. La decorazione semplice del muro è simile a quella della facciata verso strada e cioè a graffiti con finti conci; in alto il bel cornicione a triplici mensole allungate. Si entra nell’interno del primo corpo, ceh era quello adibito a rappresentanza, attraverso un portale pedonale, dopo il quale una scala porta da una parte al cavalcavia e dall’altra al avsto salone, che occupa in lunghezza quasi la metà di questa parte del palazzo e dove la cosa di maggior rilievo è il ricco soffitto. Esso è formato da ampi lacunari quadrati entro i quali sono circoscritti altri lacunari ottagonali circondati da riquadri. E’ un bellissimo esempio di soffitto a cassettoni, unico esistente nel nostro territorio. Il camino, in marmo di Rezzato, forse di un buon secolo posteriore, è formato da due telamoni o cariatidi che sostengono un’architrave con un bel fregio scolpito ed uno scudo di stemma con una pianta. Al centro della sala un tavolo in marmo di Verona, di forma ottagonale. Oltre la porta sud del salone un’altra sala di vaste proporzioni con un bel soffitto ancora a cassettoni diverso dal primo. Dall’altra porta si passa in una larga galleria di disimpegno con soffitto a travetti, sulla quale si aprono varie stanze da letto e la biblioteca, ognuna con soffitto a cassettoni, sempre di forma diversa e di rara bellezza. Due salotti occupano al primo piano l’ala o secondo corpo. Il primo semplice col soffitto a travi, il secondo, decorato nel secolo scorso, è pieno di luce per le sei grandi fiiniestre che, su tre lati, immettono nella terrazza o balcone verso il lago. Al piano terra di questi due corpi (che sono di proprietà distinta dagli altri due) vi sono la cantina ed alcuni ambienti di servizio tra cui la grande cucina con un bel camino e la sala da pranzo affrescata nell’Ottocento (come pure il vicino ingresso) a piante di limoni. Ovunque i soffitti a volta. Sotto il corpo avanzato, o ala, ungrande portico adorno di una vasca di pietra addossata alla parete e di tre statue gigantesche di personaggi mitologici (Giove, Venere ed Ercole). Queste statue sono di fattura rozza: supponiamo provengano da un parco romano. Verso il lago si apre un breve porticato di tre luci che sostiene la terrazzina belvedere. Il fatto del sensibile divario di struttura fra i due corpi allineati (l’altezza, il numero dei piani, l’ammezzamento, mai usato nel Cinquecento, ed inoltre l’esistenza dei cassettoni con lacunari veri e propri soltanto nel primo corpo) sono tutti indizi che ci fanno supporre che la costruzione dell’intero palazzo sia avvenuta in due tempi. Forse il primo corpo al tempo dei Pallavicino (metà del ‘500) e il secondo al tempo dei Mrtinengo (metà del ‘600). Il torrione, forse il più antico di tutto l’insieme, sarà stato collegato col primo corpo da un alto muro di cinta nel quale s apriva il portale che immetteva nel cortile della darsena dovevi erano anche le immancabili scuderie. Il terzo corpo è adibito quasi tutto ad abitazione ed anche qui vi sono ambienti di notevole inetersse. Esternamente la parete continua ad essere decorata col leggero, pallido grafito di finti conci e dal possente cornicione. I tre piani hanno le numerose finestre semplici, senza stipiti e si affacciano sul cortile della darsena che, come il giardino, il portico e il parco, è di proprietà promiscua fra i due proprietari. Dopo il pian terreno, simile a quello el primo corpo, vi è un ammezzato e poi il piano nobile che presenta una sfilata di sale (fra le quali una cappella e una stanza dove dicono abbia dormito Bonaparte, dopo la battaglia di Lonato). Ma le tre sale più belle sono nel quarto corpo, quello che, partendo dalla torre si protende verso il lago.Nella torre vi è la sala da pranzo col soffitto ligneo nostrano a grandi travi e travetti, che denota l’origine più antica della torre. Dopo una piccola scala vi è un’altra grande sala col soffitto a cassettoni finti su grandi travi e travetti. Tutto attorno alle pareti corre una fascia con un affresco raffigurante gli animali più strani e mostri marirni, che dicono di gusto mantovano. Infine l’ultima sala, col soffitto come quello della sala precedente, che si affaccia sul lago con due specie di baundi rettangolari sorretti da mensole. Suggestivi, di grande interesse sono i due boschi adiacenti al palazzo.Verso oriente, là dove la riviera già sta piegando per volgere verso nord, è disteso, a contatto col palazzo, un bellissimo parco dalle più svariate essenze tipiche del clima mediterraneo, dagli ulivi al lauro, al leccio, al cipresso e così via. In esso vi è, naascosta nel verde, una fontana racchiusa da una balaustra con al centro unagrande conchiglia dalla quale sorge la statua di Diana cacciatrice. Al di là della strada Gardesana, collegato con lina il giardino dei cipressi nel quale vi è una monumentale fontana che riceve l’acqua da una piccola sorgente poco distante. E’ un complesso stranissimo che entra nel gusto secentesco del grottesco. In una specie di esedra sorge un animale mostruoso cavalcato da una giovane divinità; dal becco di questo mostro zampilla l’acqua che cade in un conchiglione sottostante e da questo nella vasca sagomata, (recinta da una balaustra) dalla quale emergono figure di divinità. Un tempo questa buona sorgente serviva per irrigare le piante di aranci e limoni nelle serre (i cosidetti “giardini”) che occupavano tutto il muro fra la strada e il parco del lago.
Costruito nel 1558, secondo taluni, o nel 1557 secondo altri dal marchese Sforza Pallavicino, signore di Cortemmaggiore, condottiero della Repubblica di Venezia, il palazzo rimase in casa Pallavicino fino al 1640 perchè risulta che in quell’anno vi abitava il marchese Alessandro. Pochi anni dopo la costruzione i Pallavicino diedero ospitalità ad una coppia famosa a quel tempo: a Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano e a sua moglie, la bellissima Vittoria Accoramboni, di vent’anni più giovane di lui. Essi erano fuggiti da Roma e avevano chiesto ospitalità a Venezia per salvarsi dall’ira, più che giustificata, di papa Sisto oV appena salito al trono pontificio. L’Orsini, che già aveva fatto strangolare la moglie Isabella, figlia di Cosimo I de Medici, si era clandestinamente sposato con Vittoria, dopo aver fatto uccidere (sembra da un fratello di Vittoria) il di lei marito Francesco Peretti, nipote del Pontefice. Questa permanenza non durò molto perchè, dopo pochi mesi, nel novembre 1585, improvvisamente il duca morì e si parlò di veneficio da arte del Granduca Francesco di Toscana. Questi temeva che buona parte delle grandi ricchezze di Paolo Giordano non andassero a Virginio, figlio della prima moglie Isabella Medici. Vittoria, non sentendosi sicura a Barbarano, dopo che la salma del marito, trafugata dalla chiesa dei Cappuccini, era stata gettata nel lago, si rifugiò a Padova. Ma anche lì fu raggiunta dall’odio degli Orsini e dei Medici, anche per ragioni di eredità, e il 22 dicembre il palazzo che la ospitava venne invaso da sicari che uccisero lei e il suo buon fratello Flaminio. Grande fu l’emozione, e la giustizia della Serenissima si mosse, inesorabile. Lodovico Orsini, arrestato venne strangolato in carcere e tutti gli altri impiccati. “Trentadue vittime comporta questa drammatica storia”. La “nobiletta di Gubbio” (città diorigine degli Accoramboni) per la sua bellezza aveva suscitato una terribile tragedia. I Pallavicino tennero il palazzo per poco meno di un secolo poichè nel 1651 lo vendettero al conte Camillo Martinengo Cesaresco (n. 1612) q. Antonio. Anche su questo signorotto del nostro Seicento molto è stato scritto. Dopo una gioventù avventurosa – sono noti i suoi amori per Camilla Porcellaga – per le sue malefatte venne bandito dalla Repubblica, passò a Parma e forse fu allora che trattò con Alesandro Pallavicino l’acquisto del palazzo. Quando potè liberarsi dal bando, ritornò a Barbarano e vi condusse vita splendida. Nel 1668 vi ricevette fra grandi feste il granduca Cosimo III di Toscana. Alla sua morte nel 1690 istituì un fedecommesso sul palazzo e sui possedimenti vicini in modo che quella sua proprietà passò per un secolo sempre in eredità per linea di primogenitura. Non avendo figli il palazzo passò a Lodovico (n. 1651) figlio di suo fratello Francesco e fu allora che avvennero le varie vicissitudini familiari, già raccontate. Da Lodovico, che aveva passato molti anni della gioventù alla corte di firenze, e da Caterina Martinengo Palatino nacque fra gli altri, Carlo Camillo (n. 1686) il quale da Girolama Gennari degli Orzizecchi ebbe dieci figli; il primogenito Giuseppe Antonio (n. 1730) sposò Teresa Olmo. Nel 1749 passò di qui quella famosa corrispondente avanti lettera che fu Lady Maria Wortley Montagu che descrisse alla sua maniera il sito in una lettera alla figlia. Parleremo di lei a proposito di un altro palazzo. A Giuseppe Antonio succedette Lodovico Camillo (n. 1770 ?) marito di Giuseppa dei conti Pellizzari. Era ancor vivo il padre quando nel 1797 arrivarono i Francesi di Bonaparte. Altri, Ed anche noi in altro volume, hanno narrato il fatto d’arme nel quale fu coinvolto il palazzo durante le due battaglie di Lonato. Diremo soltanto che il generale Guyeux, sorpreso da un corpo austriaco, si asserragliò per parecchi giorni nel palazzo con qualche centinaio di uomini, subendo anche un bombardamento da parte di una flottiglia austriaca. Fu poi liberato dal generale Sauret. L’occupazione, le azioni militari e il saccheggio della feccia della popolazione, felice di sfogarsi sul “palass del cont Camill” portarono gravissimi danni al mobilio dei conti Martinengo che erano lontani. Da Lodovico nacquero nove figli (dei quali soli tre maschi) che non ebbero discendenti e la famiglia con loro si estinse. L’ultimo a morire nel 1884 fu Giuseppe Camillo, luminosa figura di patriota che si estinse durante le X Giornate e fu comandante, nel 1848, della Guardia Nazionale. Ancora in vita egli adottò il signor Eugenio Cocchetti di Rovato, figlia di sua sorella Ester e del sig. Giuseppe Cocchetti. Eugenio sposò l’inglese Evelina Carringhton, la nota scrittrice col nome Evelina Martinengo Cesaresco, ma non ebbe figli. Fu suo erede, tanto del palazzo di Brescia quanto della villa di Rovato e di questo palazzo il figlio di sua sorella Vittoria andata sposa al nob. Luigi Terzi. Quell’unico figlio, Giuliano (n. 1875), sposò donna Teresa dei principi Torlonia e ne ebbe due figli Ottobono e Manfredi.