Palazzo Martinengo Cesaresco all’aquilone
Il palazzo si trova nella cittadella vecchia di Brescia, quadra corrispondente all’antica Brixia romana e sede, sin dall’età comunale, delle dimore delle famiglie filo-ghibelline, ad est del palazzo vescovile.
Palazzo Martinengo Cesaresco all’aquilone nasce da una serie di acquisizioni e di costruzioni che iniziano verso la metà del XV secolo, più precisamente nel 1447, quando Albertino Salati vendette a Cesare I Martinengo i due lotti all’estremità orientale dell’isolato, entrambi con case ed orti.
Questo ramo della famiglia Martinengo si stabilì inizialmente nella parte a sud-est del fabbricato, che ingloba la torre dei Camignoni e, malgrado le numerose trasformazioni, si può individuare ancora quella che era la sala principale, dove si sono svolte le pompose nozze di Francesca Lucrezia nel 1527, l’accoglienza dell’ambasciatore francese nel 1528 e la visita della duchessa di Mantova nel 1539. A quel tempo Cesare II Martinengo aveva dodici figli e più di quaranta domestici, inoltre il palazzo non era ancora stato costruito, quindi la casa non doveva essere di grandi dimensioni. Saranno i figli, tra il 1557 ed il 1570, a costruire l’ampio porticato con il salone soprastante e le stanze della parte più a ovest, idea innovativa per la Brescia di quel tempo e ipoteticamente attribuibile a Ludovico Beretta, visti anche i buoni rapporti della famiglia Martinengo con la famiglia Patina della moglie dell’architetto. Verso il 1670 l’ala verso nord tra i due cortili, alla fine del secolo anche il cortile e ad inizio XIX secolo la costruzione della palazzina a chiusura del cortile principale.
“L’aspetto esteriore, su via Trieste, è decisamente della fine del sec. XVI; è un fabbricato lungo senza alcuna idea di proporzione di masse, , ma signorile col piano nobile alto e chiuso dal cornicione che porta in grande, quali doccioni, delle teste di leone. L’ingresso, completamente fuori simmetria, è ornato da un portale in marmo, ricchissimo, a grosse bugne. Trofei e mascheroni si alternano sulle bozze (due trofei portano lo stemma Martinengo); un grande scudo con lo stemma occupa il centro dell’arco. È l’aquila dei Martinengo con due sirene per sostegno, sormontata da una larga corona patrizia e da un elmo. Il vero e proprio palazzo cinquecentesco termina, verso sera, con un altro portale, semplice ingresso secondario. Tra i due portali a pianterreno cinque finestre, e due verso mattina, incorniciate da un leggero bugnato; quelle, invece, del primo piano (otto) portano i frontoni alternati, ad angolo, o a volta. Oltre il portale secondario due aggiunte al palazzo, eseguite nel Settecento, bene intonate alla decorazione, ma nocive all’insieme della massa. Da notare sullo spigolo estremo a sera incastrata nel muro una colonna con capitello gotico, avanzo della più antica costruzione degli Emili.
L’atrio, che si apre immediatamente dopo lo ingresso, è degno di una grande firma di architetto e della superba famiglia che volle tanta grandiosità. … . Il soffitto è formato da grosse travi scure intagliate e sagomate. In corrispondenza delle colonne sostengono la trabeazione le lesene, fra le quali si aprono porte e finestre; alle estremità del portico due portali, con leggeri bugnati, affiancati da lesene, portano alle scale. Il cortile d’onore ha tre lati interessanti, ma incompiuti. …… L’eleganza delle proporzioni e il gusto singolare decorativo ci rassicurano sulla attribuzione di questo edificio all’architetto Ludovico Beretta.
..… Ritornando sotto il portico d’ingresso, nel lato a mattina si apre il vano dello scalone a tre rampe con balaustra, ma poco notevole. Solo la prima rampa doveva far parte della scala cinquecentesca, certamente con le altre rampe non ampie e chiuse tra mura. Questa scala porta al grande salone, singolare vano per la sua vastità (m. 13 x m. 26) e per il soffitto ligneo a grandi travi sorrette da modiglioni scolpiti. Dopo il salone, verso sera, vi è una sala decorata sulla fine del sec. XVIII; sempre procedendo verso sera si apre una lunga e stretta galleria, con la volta decorata nella seconda metà del Settecento; ma la decorazione ad un tratto s’interrompe e precisamente in quel punto dove terminava il palazzo cinquecentesco (nella facciata a questo punto vi è una risega). In corrispondenza alla galleria quattro sale decorate egregiamente nello stesso periodo. … Le sale però che hanno un singolare rilievo e che meritano una nota speciale sono nell’ala che si protende verso monte, fra i due cortili. Sono, direi, l’affermazione più elevata e completa degli ottimi fra i decoratori bresciani e milanesi del principio dell’Ottocento: Teosa e Manfredini, di quest’ultimo in modo precipuo.” (Fausto Lechi, vol. III)